Mattarella, schiaffo al delirio identitario della destra: “no” del Colle a chi vuole cancellare la laicità della Costituzione

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Con un secondo intervento in pochi giorni, il Quirinale mette in chiaro che il custode della Costituzione sui diritti non transige. C’è ancora un garante al Colle e non ha remore nel manifestare la pubblicità del dissenso con il governo.

Se prima ha tolto di mano al Viminale il manganello facile, adesso con il sostegno alla scuola di Pioltello, che ha chiuso nel giorno del ramadan, Mattarella ha preso le difese del principio indisponibile della laicità dello Stato, che postula una cornice plurale e di non-emarginazione.

Come ricorda P. Consorti (Diritto e religione, Laterza, 2014) non esiste in costituzione il termine laico, solo la Francia e la Turchia ne hanno fatto una esplicita menzione nella loro Carta. Lavorando però sulla logica complessiva dei valori dell’ordinamento, la Consulta ne ha ricavato “un superprincipio più importante dei principi costituzionali e anche di quelli fondamentali” (ivi, p. 29).

Con la Sentenza 203/1989, il relatore Casavola stabiliva il passaggio dalla visione liberale di laicità (come neutralità, estraneità, o anche astrazione dalle credenze quali fatti esclusivamente privati) alla nozione repubblicana di laico come esercizio della libertà costituzionale di culto nel riconoscimento “di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini”.

Nelle sue motivazioni Casavola enfatizzava anche il superamento della “visione dello Stato etico della religione come un connotato dell’identità nazionale da farsi maturare nella scuola di Stato”. È proprio questa declinazione in termini etico-identitari della religione che le destre, e i suoi nuovi invasati conduttori Rai, brandiscono in maniera nostalgica per fomentare un conflitto di cultura.

Lo sforzo della Consulta è invece quello, nelle espressioni di Casavola, di “descrivere l’attitudine laica dello Stato-comunità”. Ciò comporta che, accanto al culto assunto come “diritto di libertà costituzionale non degradabile”, siano attivi gli sforzi per scongiurare discriminazioni (da qui “la libertà negativa di non professare alcuna religione”) e restrizioni al “regime di pluralismo confessionale e culturale”.

Con una seconda sentenza, la 508/2000 scritta da Gustavo Zagrebelsky, è caduto anche il criterio quantitativo, riferito al privilegio accordato alla fede coltivata dalla maggioranza dei cittadini, e la laicità è stata precisata come “la pari protezione della coscienza di ciascuna persona”. La forma pluralistica dello Stato implica “equidistanza e imparzialità” della legislazione al fine di lasciar “convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse”.

Il canone sovraordinato della laicità non comporta dunque “il silenzio” verso le credenze dei soggetti (A. Barbera, Laicità, Il Mulino, 2023) ma il riconoscimento della dimensione sociale del fenomeno religioso (come “bisogno” o “sentimento” molteplice).

Ciò implica un’uguale libertà delle coscienze che priva di ogni fondamento la ribellione della destra la quale, contro il legittimo atto dell’istituto di Pioltello, rivendica l’identità cattolica come tradizione esclusiva, e quindi quale protezione-rifugio rispetto alle pratiche altre. Su tali basi, non c’è argine alla scivolosa guerra di religione.

La laicità sprigiona valori inclusivi e non si chiude nel culto delle identità autonome che si separano in recinti del tutto incomunicanti tra loro. “La scuola è tramite tra le culture, che solo così possono riconoscersi e sfuggire alle trappole del multiculturalismo identitario, dove la cultura dell’altro è vista come minaccia e si rinuncia a priori alla sua comprensione e condivisione” (S. Rodotà, Perché laico, Laterza, 2010, p. 154).

Le parole del presidente della Repubblica rammentano che laicità significa non già incompetenza del pubblico in materia religiosa ma assunzione costruttiva di un meta-principio che rinvia alla garanzia positiva delle libertà di tutti.

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