Meloni esalta Saied, il dittatore tunisino detta le regole all’Europa: “Datemi 900 milioni o vi mando i barchini”

RMAG news

Per la quarta volta in meno di un anno la presidente del Consiglio italiano è andata ieri ad incontrare il tiranno tunisino Saied. Stavolta accompagnata non dalla presidente della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyen, ma dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, con la ministra Anna Maria Bernini al seguito. Anche stavolta Giorgia Meloni s’è esibita in una finta conferenza stampa senza domande di cui, misteriosamente, non si vergogna.

Il fatto è che 5550 migranti arrivati in Italia dalle coste tunisine soltanto nell’ultimo mese sono un po’ troppi per la propaganda di partiti di governo in competizione tra loro che in vista delle europee di giugno, sistema elettorale proporzionale, si litigano voti (anche) nell’esibizione della guerra ai migranti.

Quel numeretto, 5500, suona alle orecchie di Giorgia Meloni come un messaggio molto esplicito del dittatore amico. Datemi subito i soldi, datemi i 900 milioni promessi dall’Europa senza aspettare che il Fmi sblocchi il suo prestito di quasi due miliardi (che non sblocca perché la condizione necessaria a farlo sono riforme che Saied non si vuol far imporre dai suoi benefattori).

Datemeli o vi metto in mare una serie infinita di barchini d’alluminio tutti diretti a Lampedusa. Poi vediamo se pagate e se vi passa la voglia di giocare al bastone e la carota. La questione è sempre quella: i soldi.

Da più di due anni Tunisi vede ballare sul tavolo del Fondo monetario internazionale un prestito da 1900 milioni di dollari. Se non si sbloccano quelli, non si possono sbloccare nemmeno i 900 milioni europei.

E la richiesta di Saied è che Giorgia Meloni gli faccia da ambasciatrice in Europa e si arrabatti per trovare il modo di aggirare il vincolo per fargli arrivare quei fondi anche senza che prima ci sia il via libera del Fmi.

La minaccia, altrimenti, è un’ondata di barchini da Sfax. Nemmeno troppo dissimulata nelle parole che Saied ha fatto circolare in video in rete negli ultimi giorni: “La Tunisia non accetta di trattare con nessuno se non su un piede di parità”, “chi pensa di metterci sotto tutela, si sbaglia”.

Nei dettagli poi, anche la discussione sempre quella è: il diniego di Tunisi a farsi gratuitamente futuro luogo di centri di detenzione per migranti respinti e deportati dall’Europa. Nel memorandum Ue-Tunisia siglato a fine luglio, la questione era scritta bella chiara nel paragrafo “Migrazione e mobilità”.

La presidente del Consiglio ha tentato ieri di rabbonire il tiranno furioso e ha detto: “Sono molto fiera del lavoro e della cooperazione con la Tunisia che sta dando ottimi risultati su molti fronti. Penso ad esempio al tema della gestione della migrazione sul quale voglio ancora una volta ringraziare le autorità tunisine e Saied”.

E vediamolo allora questo lavoro delle autorità tunisine di cui ancora una volta ieri abbiamo ringraziato Saied. E per il quale il governo italiano a dicembre ha stanziato 4milioni e 800mila euro per rimettere in efficienza e trasferire a Tunisi 6 motovedette copiando pari pari quanto già fatto molte volte con i libici.

Nel luglio scorso, quando Tunisi doveva mostrare di meritarsi la firma del Memorandum con la Ue e i soldi previsti in quell’accordo, impegnò moltissimi agenti in un rastrellamento di migranti subsahariani fatti sparire in pochi giorni dalla costa.

Il deputato tunisino Moez Barkallah all’agenzia Tap descrisse quelle retate rivendicando con orgoglio l’espulsione di 1.200 persone in meno di un mese dalla città di Sfax verso le regioni desertiche di confine in Libia e Algeria. Venivano rimpatriati a gruppi di 200.

Quattro o cinque autobus in partenza quotidiana da Sfax per deportare persone in una zone sotto controllo militare della polizia di frontiera. Diceva allora il deputato Barkallah:Mi auguro che entro la fine della settimana possano venire espulsi dai tre ai quattromila migranti”.

Testimonianze raccolte da Human rights watch e Alarm Phone raccontavano che agenti a Sfax avevano catturato e trascinato via donne incinte, minori, li avevano deportati ai confini con la Libia e lasciati lì senza cibo e senza nulla.

C’erano anche bambini di sei mesi tra loro. Da Sfax raccontavano di gruppi di persone a terra per i controlli e le perquisizioni dopo il rastrellamento, di case date a fuoco. “I passaporti dei fermati vengono sistematicamente distrutti, chi protesta viene pestato” dicevano.

Quelle deportazioni, con ritmi e visibilità modulati nel tempo, non sono mai finiti. A fine marzo il presidente della comunità camerunense in Tunisia ha denunciato l’uccisione di un migrante da parte degli agenti tunisini nella città frontaliera Kasserine. Era stato riportato indietro via mare e dalla costa deportato insieme ad altri migranti al confine con l’Algeria.

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