Mimmo Lucano: «Mi candido di nuovo a Riace per ripartire»

Mimmo Lucano: «Mi candido di nuovo a Riace per ripartire»

Il Quotidiano del Sud
Mimmo Lucano: «Mi candido di nuovo a Riace per ripartire»

Dopo le motivazioni che hanno ribaltato la prima sentenza, l’intervista all’ex sindaco di Riace, Lucano, che si ricandida per ripartire

Mimmo Lucano, a Riace Superiore nascono ancora bambini?

«Certo, il Villaggio Globale si sta ripopolando. L’ultima è femmina, Monacir, famiglia nigeriana».

Ora che le motivazioni hanno fatto giustizia, ora che l’incubo sembra finito, verrebbe solo da chiedere all’ex sindaco cosa ha fatto in tutti questi anni.

«Ho riflettuto molto, questi mesi e mesi sospesi mi sono serviti per capire quello che avevamo realizzato a Riace, non mi ero quasi reso conto. L’utopia locale, la democrazia diretta, I primi sbarchi dei curdi nel ’98-99».

Dove lei si trovò fianco a fianco con il vescovo di Locri Giancarlo Bregantini a portare coperte sulla spiaggia. Lo sente ancora?

«Sento ancora tutti quelli che hanno lasciato un segno nella mia vita, naturalmente anche lui. Fin da quando disse: “Arrivano dalla guerra, apriamo il convento per loro”. Faccio parte della sinistra libertaria, ma in certi momenti decisivi, in certi punti di svolta sono stato vicino al messaggio evangelico. E non si trattava certo di campagna elettorale».

Per esempio quando?

«Padre Alex Zanotelli è stato l’ispiratore del movimento “Acqua come bene pubblico e imprenscindibile”. Un bene che non può mai essere tagliato anche se un Comune non paga la bolletta. Su quella scia furono valorizzati i pozzi a Riace. Sorella Acqua, cos’è questa se non teologia della Liberazione? Zanotelli ha fatto in paese almeno dieci campi di spiritualità. Dopo aver girato l’Africa per trent’anni, vive al Rione Sanità a Napoli. Mi ripete sempre: “Non siamo chi incontriamo. E come può un cristiano votare per Salvini?”».

Ha letto le motivazioni della sentenza d’appello? Cancellate le accuse, si parla di economia della speranza, non di ruberie.

«Non riesco a dimenticare il processo di primo grado. E prima ancora, l’interruzione del mio mandato di sindaco, gli arresti domiciliari, il divieto di stare in paese. Agli avvocati ho detto che non volevo sconti. Nelle motivazioni che hanno ribaltato la condanna a 13 anni, c’è anche un riferimento preciso all’uso improprio delle intercettazioni».

Perché tanto accanimento, in una zona dove le attenzioni andrebbero rivolte alla ‘ndrangheta?

«Perché quello è stato un processo politico, come lo è stata la condanna. Il mandante era il pensiero dominante della destra, Salvini che mi definiva “uno zero”. Proprio a me, piccolo piccolo, in un borgo povero di collina in cui vivono 400 abitanti. Io sono un figlio dell’opposizione sociale antimafia, abbiamo i nostri martiri: Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti, Giannino Losardo. Abbiamo sempre combattuto i comitati d’affari della Locride, della Piana, volevamo cambiare il mondo partendo da qui. Non ci siamo arresi, e ora è il momento della ripartenza. Voglio dedicarla a un amico che arrivò nel 2010 qui, una storia che faccio fatica a raccontare».

Si prenda tutto il tempo. Che vuol dire ripartenza?

«Tutto comincia da una lontana manifestazione, guarda caso i temi erano simili alla protesta contro l’autonomia differenziata. Eravamo i giovani del circolo “Salvador Allende” e portammo uno striscione: “Riace non vuole morire”. È il tema di oggi, non sembra cambiato nulla, i paesi si spopolano, la gente emigra. Ma qui è nata un’esperienza non teorica, non programmata, non stabilita a tavolino: una scelta d’istinto contro la propaganda e la strategia del consenso. Abbiamo ribaltato un concetto: parlavano di invasione, di mancanza di sicurezza. L’inviato del Tg che dice a una donna: ma lei non ha paura? E lei risponde in dialetto: più buio della mezzanotte non può essere. Invece noi abbiamo aperto le porte, anche per difendere i servizi sociali».

La Calabria lo fa da millenni.

«Un tratto antropologico, le chiavi lasciate nella toppa. In un panorama in cui chiude la farmacia, la guardia medica, la scuola. Abbiamo messo insieme le nostre debolezze con le loro e siamo diventati forti. Un’opera immateriale invece del filo spinato, un modello anche economico di cui ha parlato tutto il mondo”.

A Cutro è andata peggio.

«Gli abitanti di Stellato erano sconvolti, una strage per omissione di soccorso. I tentativi disperati di salvarne qualcuno, i fiori lasciati sulla spiaggia. I bambini chiamati “carichi residuali”, non viaggiavano su uno yacht ma aggrappati a un relitto. È la politica di questo governo, i centri di deportazione in Albania o in paesi in cui i diritti civili non sono rispettati».

“Nessun reato associativo”. Quindi l’umanità non è reato, come disse una volta.

«Siamo stati emigranti anche noi. Ho degli zii diretti che vivono in Argentina, decine e decine di cugini. Andai a Buenos Aires per un forum sull’emigrazione “Dialoghi Globali”. Mi aveva invitato il ministero degli Esteri, i giudici quasi dissero che era un viaggio di piacere. Fui ricevuto all’Ambasciata e dissi: guardate che in Italia non c’è la stessa atmosfera… Ma il momento più bello fu quando in mezzo agli italiani si fece largo un gruppo di riacesi. “Mimmo lo sai che siamo orgogliosi, anche qui sanno dove sta il nostro piccolo paese. Si misero a piangere».

Che ne è della fiction sulla sua storia, con Giuseppe Fiorello attore protagonista?

«Dopo la sentenza di appello ho riparlato con il produttore, mi ha fatto capire che non è aria, che non c’è il clima politico giusto. Ho un paio di domande. A chi dà fastidio? La Rai dica perché non vuole trasmetterla. Semplicemente, sono più realisti del re. Ma l’opera è stata pagata con soldi pubblici, quasi 4 milioni di euro, i cittadini dovrebbero essere informati».

Ha ricevuto un compenso per aver collaborato con la Rai?

«Zero, ho detto che quello era il mio mestiere di sindaco. Si sono meravigliati».

Domanda brutale: ma come campa? Una volta mi mostrò il rendiconto della Banca, e c’erano 9 euro. Riportai questo particolare su Repubblica, e sui social qualcuno scrisse che Lucano mi aveva fregato.

«Vivo in una condizione di disagio, e la mia famiglia lo sa. Io sono un assistente di laboratorio a scuola e sto in aspettativa. In questi anni ho fatto un libro con Feltrinelli, un contratto con una casa di produzione, ho vinto il premio di una Fondazione svizzera. Dopo la prima condanna, ci fu un moto forte di indignazione, il sociologo Luigi Manconi lanciò una sottoscrizione».

E lei ha preso quei soldi?

«No, anzi sono andato fino a Roma a ringraziarlo: non potevo prenderli, era in vista il processo d’appello, stiamo parlando di almeno 350mila euro. Gli dissi: in Calabria siamo riconoscenti, però sarà difficile ricambiare».

E Manconi?

«Disse che i soldi erano stati raccolti per me, con la motivazione “Modello Mimmo. L’abuso di umanità non è reato” e che non potevano fare altro. Poi ha nominato un comitato di garanti con gli ex magistrati Armando Spataro e Gherardo Colombo, l’allora direttore di Avvenire Marco Tarquinio e altri. Questi soldi saranno così investiti per la ricostruzione del Villaggio Globale del mio paese, per il recupero dei luoghi abbandonati: una progettualità legata all’accoglienza di cui cominciamo a vedere i frutti. L’asilo, la fattoria sociale, la nuova sede, la mensa per 10-12 bambini. I nomi li so a memoria: Valeria, Daniel, Victory, Manuel… Arrivano nuove famiglie, dall’Afghanistan, dalla Costa d’Avorio, arrivano dalle bombe”. Siamo a 65 rifugiati, di cui 20 minori, dal 20 aprile 2022»

Ci parli di Hassan.

“Nel 2010 il Viminale aveva bisogno di distribuire 300 palestinesi, confinati in un orrendo campo profughi nel deserto fra la Siria e l’Iraq, Al Tanaf. Si offrirono solo Riace e Caulonia. Arrivò lui, persona molto colta e motivata sul piano politico. Era amico mio, stava bene qui, ma non accettava di vivere lontano dal suo popolo, aveva conosciuto anche Vittorio Arrigoni, il cooperante italiano poi ucciso. Hassan cadde in depressione, non riuscimmo ad aiutarlo. Sparì, lo trovammo dopo cinque giorni con una corda al collo, appeso a un albero di fico. È sepolto nel nostro cimitero, penso a lui quando vedo in tv quello che succede a Gaza, il martirio di un popolo. Quando finirà, mi chiedo?»

Riace rinasce nel nome di Hassan.

«E io mi ricandido a sindaco. Avevo già deciso di correre per le elezioni europee con l’Alleanza Verdi Sinistra. Poi in paese sono partite le riunioni spontanee dei cittadini, mi hanno chiesto di fare la quarta campagna elettorale della mia vita, nel paese dove sono nato e dove voglio restare. Un election day da batticuore».

E quale sarà, in caso di vittoria, la sua prima mossa?

«Rimettere il cartello “Riace paese dell’accoglienza” all’ingresso del paese. L’attuale sindaco lo ha rimosso, sostituendolo con “il paese dei santi Cosimo e Damiano”. Ma anche loro, ne sono certo, stanno dalla nostra parte».

Il Quotidiano del Sud.
Mimmo Lucano: «Mi candido di nuovo a Riace per ripartire»

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *