Perché la Giorgio Armani Operations è in amministrazione giudiziaria: l’indagine per sfruttamento del lavoro

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Il tribunale di Milano rifila un colpo durissimo all’immagine di Giorgio Armani, re della moda italiana e terzo uomo più ricco del Paese con un patrimonio da 11 miliardi  dollari.

La Sezione misure di prevenzione del Tribunale ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani operations spa, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori del colosso della moda.

Non una novità nel settore: lo scorso 17 gennaio la messa in amministrazione giudiziaria era toccata alla Alviero Martini, noto marchio di borse.

La Giorgio Armani operations in amministrazione giudiziaria

Una mossa che arriva al culmine di una inchiesta condotta dai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, coordinata dai pm Paolo Storati e Luisa Baima Bollone.

Al centro delle indagini un presunto sistema di sfruttamento del lavoro tramite subappalti, che portava l’azienda a rifare la produzione di borse e accessori a opifici abusivi dove si ricorreva a manodopera in nero e clandestina, di origini cinese.

La Giorgio Armani operations è finita in amministrazione giudiziaria perché, secondo il Tribunale di Milano, è stata “incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”, poiché non ha “messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici”. In questo modo la società, creata ad hoc per la progettazione e produzione delle collezioni di moda degli accessori a marchio Armani, ha agevolato “colposamente” il caporalato.

Operai clandestini per aumentare il business

Secondo le indagini lo schema era questo: la Giorgio Armani operations esternalizzava i processi produttivi ad una azienda fornitrice, che a sua volta subappaltava ricorrendo agli opifici cinesi, dislocati tra le province di Milano e Bergamo.

Stando ai controlli effettuati, quattro di quelli verificati sono irregolari: su 29 lavoratori, 12 erano occupati in nero, 9 irregolari in Italia. Enorme l’elenco di irregolarità accertate: ambienti insalubri, orari di lavoro non conformi, condizioni igienico sanitarie “sotto minimo etico” con dormitori abusivi predisposti per ospitare la manodopera.

Per questo i quattro titolati degli opifici sono stati denunciati per caporalato, con ammende per 80mila e sanzioni amministrative da 65 mila euro. Per quattro ditte è stata disposta la sospensione dell’attività.

Secondo i giudici Pendino, Rispoli e Cucciniello l’indagine sulla Giorgio Armani ha “disvelato una prassi illecita radicata e collaudata” volta “all’aumento del business”. Giorgio Armani operation che comunque non è indagata: la finalità del commissariamento è infatti “preventiva” e non “repressiva”.

Apprendiamo della misura di prevenzione decisa dai Tribunali di Milano nei confronti della GA Operations“, si legge in una nota dell’azienda emessa dopo la diffusione della notizia.  “La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura. La GA Operations collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”, conclude la nota.

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