Perché Salvini vuole reintrodurre il servizio militare obbligatorio: educazione, rispetto e fatica

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Da Matteo Salvini un remake grigioverde o, in subordine, cachi, che tuttavia non esclude neppure la possibile salopette del servizio civile: “Sono favorevole alla reintroduzione, per alcuni mesi, del servizio militare e civile: assolutamente sì perchè reinsegnerebbe un po’ di rispetto e buona educazione”.

Il ministro concede anche nella stessa diretta social il proprio ruolino di marcia: “Sono antifascista, anticomunista, antitotalitarista, sono un democratico, mi piace la libertà”. Virando poi sull’uscita del suo libro: “Non oso immaginare Lilli Gruber o Fabio Fazio, qualcuno ha già ironizzato come Fazio e la Litizzetto, ma ci sono leghisti che scrivono che leggono e ci sono milioni di italiani che votano la Lega, senza fanatismo islamico senza spacciatori clandestini a infestare i nostri parchi, senza auto cinesi”.

E ancora: “Per la sinistra e i giornaloni non si può direSalvini e Vannacci sono Satana – ma ce lo vogliamo dire che uno dei problemi dei prossimi anni è il fanatismo islamico? Posso dire che chi separa le donne, chi picchia la figlia se si veste all’occidentale, chi pensa che le donne siano inferiori non è il benvenuto? Se ne stiano a casa loro.” Adesso è davvero tutto.

C’è dunque da immaginare che il servizio militare, nei suoi intenti, abbia valore rieducativo, identitario. Magari iniziando dalla pratica del “cubo”, ossessione d’ogni caporale di giornata dedicato all’esatta, ossessiva, modalità di ricomporre coperta, lenzuola e cuscino.

Raccontava un amico, già artigliere, che tal capitano Apicella, utilizzasse una pallina da ping-pong, lì in equilibrio sul “cubo” stesso, per assicurarsi che ogni cosa rispondesse a ordine disciplina e gerarchia.

Già da ministro degli Interni, in verità, Salvini aveva lanciato la proposta del ritorno della leva militare temporanea obbligatoria, quasi un “Erasmus” sovranista, in occasione, era il 2019, del raduno milanese degli alpini, idem adesso che ricopre il dicastero delle infrastrutture e dei trasporti. Cui, s’intende, sembra voler aggiungere i casermaggi.

D’altronde, sappiamo dell’esistenza, sempre parole sue, di “un progetto di legge della Lega depositato da tempo con l’opzione del servizio militare o civile, uno può scegliere. Per essere operativi non alla guerra, ma svegli come quando c’è un terremoto”.

I conti sono presto fatti: “Servirebbe a molti ragazzi e molte ragazze per imparare il rispetto, sacrificio, disciplina, onore, sudore e fatica”. Salvini che, nella propria narrazione autobiografica, ha sempre cura di narrarsi già fante per 12 mesi.

Il futuro probabile destinatario della risorta “cartolina precetto”, dovrà immaginarsi nuovamente tra camerate, piazza d’armi, porta carraia, ufficio maggiorità, palazzina comando, fureria, altana, magazzino vestiario, armeria, contrappello e alzabandiera, e ancora in accappatoio e bagnoschiuma in pugno di ritorno dalle docce, per poi affrontare la prova dei tiri al poligono, magari anche di guardia al Comiliter.

Nuovamente a “battere la stecca” con fervore “massiccio”. Per chi lo ignori, nella pratica derisoria verso le “spine”, le reclute, della cosiddetta “stecca” vive il modo di infierire sull’“inferiore”, battendo ritmicamente indice e medio nel suono che restituisce pienamente ogni nevrosi militare; basso continuo dei “nonni” in attesa del sospirato congedo, i giorni “mancanti all’alba”.

Qualora volessimo offrire spunti di lettura, magari antagonistici rispetto al volume di Salvini appena giunto in libreria, “Controvento – l’Italia che non si arrende” (Piemme) dal generale Vannacci presentato con l’augurio “di vendere come me”, escludendo Céline, che in “Casse-pipe” racconta i patimenti di un corazziere volontario al suo ingresso in caserma, suggeriremmo “Filogia dell’anfibio” (Einaudi), prontuario sulla naja dove Michele Mari cataloga e illustra ogni meccanica abitudine che la vita militare impone alle reclute residenti; esemplare il gesto di raccogliere intorno al dito indice, dapprima in senso orario poi antiorario, la catenella della chiavetta dell’armadietto che il soldato riceve in dote.

Irrilevante che i vertici delle Forze Armate da tempo abbiano ribadito che il fabbisogno di nuovo personale in divisa non appare affatto necessario. Di sfondo, le molte caserme dismesse negli ultimi decenni, padiglioni abitati adesso dai fantasmi già graduati dello scaduto demanio militare, nonostante la guerra, d’aggressione russa all’Ucraina in corso.

Dismessa altrettanto la Caserma “Piave” di Orvieto, già sede dal Terzo Battaglione “Guardie” – motto: “A me le guardie!” – dove si svolge, restando in tema di lettura, un romanzo davvero poco apologetico verso drop, cucchiaio tattico, stellette e alamari, “Pao Pao” (Feltrinelli) di Pier Vittorio Tondelli. Pagine estranee alla disciplina militare, indicato dall’acronimo Picchetto Armato Ordinario.

Forse, in questa storia, citare “Il disertore” di Boris Vian, canzone antimilitarista, apparirà eccessivo, più naturale, populismo salviniano attivo e operante, fare magari ritorno ai fumetti di “Il Tromba”, antico conforto onanistico d’ogni militare di leva. Se poi non dovesse essere sufficiente, c’è sempre modo di ritrovare “Zora la Vampira”, “Jacula”, “Hessa” e “Sukia”.

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