Cosa prevedono le nuove norme contro i migranti, l’Ue vota per l’incarcerazione e la deportazione

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Oggi Bruxelles vota il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, considerato dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani in sostanza inaccettabile. Citiamo solo Amnesty: “Il Patto farà regredire di decenni la legislazione europea in materia di asilo”. Per comprendere il senso del Patto, su cui hanno raggiunto il 20 dicembre scorso un accordo, il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo, bisogna tornare ad oltre 3 anni fa. Nel settembre 2020 la Commissione Europea, guidata da Ursula Van der Leyen, approvò il New pact on migration and asylum. Il testo non conteneva reali novità e non interveniva su uno dei punti più critici, il “Regolamento Dublino” secondo cui chi chiede asilo è obbligato a farlo nel primo paese Ue in cui giunge senza poter andare laddove, per legami parentali o altro, avrebbe maggiori opportunità di inserimento. Chi prova a disattendere l’obbligo e a trasferirsi illegalmente in altro paese, se preso viene, come si dice in gergo, “dublinato”, cioè rimandato nel paese di primo arrivo. Il “Nuovo patto” non interviene su questa nota dolente a causa dei veti di chi non vuole accettare richiedenti asilo.

In Italia nel 2023 sono giunte via mare 158 mila persone. In tutta Europa gli ingressi hanno superato le 380 mila unità. L’Italia ha 60 milioni di abitanti, l’Ue quasi 450 milioni, quindi parliamo di numeri irrisori ma utilizzati, soprattutto dalle destre, per lanciare l’allarme sicurezza su cui definire la propria identità e parlare, a sproposito di invasione. Si tenga conto che da questo computo mancano i profughi ucraini, 170 mila in Italia, oltre 8,2 mln in Europa. Le conclusioni a cui sono giunti al Consiglio d’Europa possono essere riassunte in 5 “regolamenti”. Il primo riguarda gli accertamenti, ovvero la creazione di norme uniformi per identificare i cittadini di paesi terzi al loro arrivo, in nome di un aumento della sicurezza all’interno del cosiddetto spazio Schengen, l’area in cui chi è cittadino europeo o ha i titoli di viaggio necessari, può liberamente circolare senza controllo (“dopo il 7 ottobre, numerosi Paesi Ue hanno sospeso tale dispositivo”).

Il secondo riguarda “Eurodac”, il database europeo delle impronte digitali. L’obiettivo è lo sviluppo di una banca dati comune, con dati accurati per individuare i movimenti non autorizzati. Il terzo, riguarda le procedure di asilo, dovrebbe rendere più rapido il rimpatrio alla frontiera per chi non è ritenuto avente diritto a protezione. Il quarto prevede l’istituzione di un nuovo meccanismo di solidarietà tra gli Stati membri per equilibrare il sistema attuale, in cui le richieste di asilo sono concentrate su pochi paesi. L’ultimo dovrebbe regolare situazioni in cui c’è un aumento degli arrivi da specifiche aree. Il Patto punta molto sui rimpatri di coloro che, secondo le autorità competenti, non hanno diritto a restare in Ue. Il 2 marzo 2022 è stato nominato un Coordinatore che deve istituire un sistema europeo di rimpatrio rapido efficace e comune.

In aggiunta il 22 giugno del 2022, quando 23 Stati membri hanno raggiunto un accordo per sostenere i Paesi sotto pressione, impegnandosi a ricollocare richiedenti asilo. Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia hanno rifiutato di firmare. In molti vorrebbero rendere attuativo questo testo prima delle elezioni di giugno. Il Patto sembra dover produrre deresponsabilizzazione per l’Ue e maggiore discrezionalità nell’azione dei singoli Stati. In concreto, quando entrerà in vigore, chi arriverà via mare sarà sotto la responsabilità del Paese di arrivo per 12 mesi – 20 mesi per chi entra via terra -, ogni anno dovrebbe essere costituito un “pool di solidarietà” mediante il quale i paesi membri dovranno sostenere quelli definiti “sotto pressione migratoria” o accettando ricollocazioni nei propri territori o con un contributo finanziario proporzionale alla popolazione e al pil.

La soglia minima definita di ricollocamenti è di 30 mila persone. Si può ovviare versando al paese sotto pressione 20 mila euro per ogni mancato ricollocamento ma non sono previste sanzioni per chi rifiuta di contribuire. I fondi che l’Ue eroga potranno poi essere utilizzati per proteggere le frontiere esterne tramite accordi extra Ue, come già fatto con Libia, Turchia e Tunisia. Laddove uno Stato Ue, dovesse presentare richiesta alla Commissione di “crisi”, questa dovrebbe essere esaminata entro 2 settimane. Se accettata l’istanza, si avranno mani libere per effettuare le border procedure più veloci destinate a chi proviene dai paesi considerati sicuri, dove il tasso di riconoscimento di protezione è inferiore al 20% e che difficilmente otterranno asilo. Un diritto che è soggettivo, individuale, verrebbe garantito in principio, in base al paese di provenienza.

L’obiettivo di questa procedura è impedire l’ingresso ai “migranti economici”, una categoria indefinita ma ormai entrata nel dibatto pubblico. Non sono rare le dichiarazioni del tipo “accogliamo chi ha diritto d’asilo, respingiamo gli altri”. Sempre, nei punti di applicazione del Patto, inquietante è quello che riguarda la rilevazione dei dati biometrici che saranno estesi a bambine e bambine al di sotto dei 14 anni, anche in caso di loro contrarietà. Questo porterà i minori al di sopra dei 6 anni a entrare obbligatoriamente nell’Eurodac e ad essere identificati. Con le procedure di screening (identificazione e registrazione) i cittadini di paesi terzi potranno essere trattenuti e a disposizione delle autorità. È garantito solo un “monitoraggio indipendente” per proteggerne i diritti fondamentali. Il Patto, contestato da molte organizzazioni che si occupano di migrazioni e asilo, è di fatto basato sulla stessa ricetta fallimentare portata avanti da anni. Identici ingredienti: respingimenti, detenzione, diniego della protezione e dell’asilo. Una scelta suicida.

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