Giustizia, autonomia differenziata e premierato: slittano a dopo le Europee le tre riforme

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Nei decenni trascorsi la vera riforma ad alta tensione, quella che “chi tocca i fili muore”, non è stata l’elezione diretta del presidente o del premier: è stata la separazione delle carriere in magistratura.

Nel 1998 la bicamerale presieduta da D’Alema, il solo tentativo serio e condiviso di rimettere mano profondamente alla Carta, affondò sulla richiesta berlusconiana di mettere mano alla giustizia.

Sull’elezione diretta di un presidente con poteri maggiori di quanti ne attribuisca al premier la riforma Meloni l’accordo era già stato stretto e chissà se il Pd di oggi, quando accusa quasi di golpismo questa riforma, si rende conto di star trattando da attentatori contro la democrazia i dirigenti del PdS di allora: come D’Alema e Veltroni.

Sino alla settimana scorsa sembrava che quella materia fosse destinata a restare inviolata, nonostante lo stentoreo programma elettorale della destra promettesse anche la separazione delle carriere.

Qualche giorno fa all’improvviso, dopo un vertice lampo tra la premier il guardasigilli Nordio e la maggioranza la riforma sin qui sempre rinviata con scuse varie pareva diventata imminentissima: cotta e presentata prima al cdm poi alle Camere prima delle europee.

Andrà davvero così? Difficile anche se non impossibile. Ieri Donzelli frenava a tavoletta: “Io ho letto solo indiscrezioni sui giornali. La riforma arriverà “nei tempi giusti e opportuni”. E comunque “il governo non ha mai voluto fare la guerra ai magistrati né mai lo vorrà fare”.

Prudenza tale da far presagire, nonostante l’annuncio peraltro non ufficiale e quindi tutt’altro che vincolante, l’ennesimo rinvio, forse al prossimo inverno, forse a legislatura da destinarsi. A frenare la riforma della giustizia concorrono numerosi elementi.

Prima di tutto la premier non ha rinunciato al progetto di posticipare sino a elezioni europee consumate l’autonomia differenziata, cioè la riforma che più di ogni altra cosa rischia di costarle parecchi consensi nel sud.

L’ostacolo si chiama Calderoli perché Salvini si è già detto dispostissimo ad aspettare l’estate. Il ministro autore del testo, e con lui l’intera e sempre più inviperita Lega del nord però la pensano diversamente e martellano.

Oggi la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama dovrà prendere una decisione sulla calendarizzazione e la data cerchiata in rosso inciderà anche sulle altre due riforme: soprattutto il premierato ma anche la giustizia.

La premier è pronta a rinunciare al progetto di arrivare alle europee con l’elezione diretta del premier approvata in prima lettura: un po’ perché potrebbe essere il prezzo per bloccare sino a giugno inoltrato l’autonomia della Lega e un po’, o forse molto, perché vuole evitare per quanto possibile lo scontro frontale all’arma bianca.

Ieri un gruppo di costituzionalisti, anche del Pd, ha presentato la proposta di due emendamenti che secondo Stefano Ceccanti potrebbero aprire le porte a “una riforma condivisa”. Il primo porta al 55% il quorum per eleggere il presidente della Repubblica ma su una platea allargata a sindaci ed eurodeputati, il secondo sposta al 50% il tetto per l’elezione del premier, in mancanza del quale si dovrebbe procedere a un secondo turno fra i due candidati più votati.

È un segnale, per quanto debole perché non sponsorizzato dalla leadership del Pd, che probabilmente Meloni intende cogliere. Ma se oggi l’autonomia prenderà la rincorsa anche il premierato potrebbe accelerare e a quel punto Fi insisterebbe per tirare fuori dal cassetto in cui giace dall’inizio della legislatura anche la riforma della giustizia. Sulla quale peraltro l’intesa di maggioranza non è completa.

Nessun problema sulla separazione delle carriere, con due Csm diversi e sorteggiati invece che eletti ma dubbi in abbondanza sul secondo corno della riforma, l’intervento sull’obbligatorietà dell’azione penale.

L’idea di affidare al Parlamento il compito di stabilire anno per anno le priorità dei reati da perseguire, vecchio cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi, non convince molti nella maggioranza e si espone effettivamente a una facile campagna ostile, con l’accusa di voler lasciare alle maggioranze di turno la possibilità di decidere quali reati perseguire e quali no.

In questa situazione la possibilità che la separazione delle carriere torni nella palude nella quale affondava sino al vertice della settimana scorsa è effettivamente alta. Con una differenza che dopo le europee potrebbe fare la differenza.

Se FI si rivelerà il secondo partito della coalizione, in crescita e superando la Lega, non sarà più possibile considerare la bandiera del partito azzurro, la giustizia, di importanza secondaria rispetto a quelle della Lega e di FdI.

Probabilmente il testo della riforma della giustizia non arriverà in tempo per le europee ma entro l’inverno una partita persino più difficile e lacerante del premierato Giorgia Meloni dovrà decidersi ad aprirla.

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