Il caso Tortora era il caso Italia, Salis diventerà il caso Ungheria?

RMAG news

Qualche settimana fa da questo giornale diedi un suggerimento alla segretaria del Partito Democratico: “Forza, Elly, candida Salis e Zuncheddu”, così argomentando: “Chi meglio di Ilaria Salis potrebbe rappresentare al Parlamento europeo le condizioni disumane e degradanti delle carceri e delle aule di tribunale in Ungheria? Chi meglio di Beniamino Zuccheddu potrebbe rappresentare al Parlamento europeo una giustizia come quella italiana che ti condanna all’ergastolo e che dopo 32 anni ti mette in libertà perché si è sbagliata?”.

Qualche giorno dopo è arrivata la notizia della candidatura della Salis nelle liste dell’alleanza Verdi – Sinistra italiana. Sicuramente un bel colpo quello messo a segno dal duo Bonelli-Fratoianni.

Ora però sta a loro farne una campagna politica – non tanto partitica per superare il 4% o personale per garantirle l’immunità parlamentare – puntando a far diventare il caso Salis il caso Ungheria.

In queste occasioni, un’iniziativa politica è tale se partendo da una vicenda personale venuta all’onore delle cronache si ha la forza di proporre soluzioni utili a tutti coloro che vivono lo stesso dramma ma che sono ignoti ai più.

Esattamente come fecero i Radicali negli anni ’80 con Enzo Tortora. Un maledetto e scandaloso caso personale divenne una battaglia politica contro la carcerazione preventiva, il pentitismo, la condizione delle carceri e la negligenza di alcuni magistrati.

In parole povere il caso Tortora divenne il caso Italia, ovvero la dimostrazione lampante dello sfascio della giustizia del nostro Paese. La lotta Radicale contro l’ingiustizia sul detenuto noto diventò fin da subito l’iniziativa politica per una giustizia più giusta a favore del detenuto ignoto.

Il conduttore Rai venne arrestato il 17 giugno nel 1983, in una maxi operazione definita dai giornali “il venerdì nero della Camorra”. Vennero firmati 853 ordini di cattura e furono mobilitati tantissimi uomini della polizia per scovare i malviventi casa per casa.

Ma che quella maxi inchiesta avesse dei problemi lo si capì fin da subito, infatti un centinaio di arrestati finì in galera per omonimia o per errori di trascrizioni del proprio cognome sui documenti o per errati accertamenti. Alcuni esempi.

Il primo. Pasquale Piscitelli – all’epoca 28enne e disoccupato – arrestato e accusato di una serie di estorsioni nella zona dei Ponti Rossi compiute nel 1981. Ma a quell’epoca era in Olanda a lavorare in un ristorante.

Tuttavia Piscitelli fu scarcerato soprattutto per un altro motivo. Messo a confronto con il super pentito Pasquale Barra costui non lo riconobbe, tant’è che lo stesso camorrista ascoltando il cancelliere chiamare il Piscitelli, esclamò “io ho parlato di Pasquale Piscitiello, non Piscitelli!”.

Il secondo. Francesco Romeo, 32 anni del Vomero, all’epoca insegnante di educazione artistica, venne arrestato perché scambiato per un feroce camorrista di Forcella il quale, tra l’altro, si chiamava come lui ma era ultracinquantenne.

“La notte della cattura – raccontò – mi vidi circondato a letto dai carabinieri con i mitra spianati. Fu inutile tentare di capire il perché. Perquisirono la casa: mi chiesero se nascondevo armi. Ma ovviamente non trovarono niente. Mi sentivo tranquillo. Ero sicuro di tornare presto, magari dopo poche ore. Invece sono rimasto in cella sette giorni. Quello che mi è successo per come sono andate le cose, può succedere a tutti. Un cittadino qualsiasi può finire in galera, senza sapere il perché. È capitato a me, ed io ne parlo. Altri tacciono”.

Di questi casi se ne contarono un centinaio. Ovviamente né PiscitelliRomeo tantomeno altri detenuti ignoti avrebbero mai avuto la forza di far diventare il proprio caso personale questione di politica nazionale. Tortora invece sì. Infatti chi meglio di lui poteva portare a conoscenza di milioni di italiani le nefandezze della giustizia italiana?

Tortora lottava per dimostrare la propria innocenza ma al contempo si batteva a favore del detenuto ignoto. La sua fu un’iniziativa politica, non partitica. Ora che la Salis è stata candidata nelle liste dei Verdi e di Sinistra Italiana, si spera che – una volta eletta – anche la sua diventi una iniziativa politica al fine di migliorare le condizioni dei detenuti in Ungheria ovvero per far si che il Governo Orban rispetti lo stato di diritto sancito dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea come uno dei valori comuni a tutti gli Stati membri dell’UE.

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