Intervista a Silvia Stilli: “Ong attaccate in tutto il mondo, chi aiuta gli esseri umani è un intralcio”

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Operatori di pace in luoghi dove la pace è bandita. Testimoni scomodi di stragi che si vorrebbero derubricare a effetti collaterali di una guerra giusta, a Gaza, o di “tragedie” del mare, quando a morire per assenza di soccorsi sono coloro – donne, bambini, uomini – che fuggono da conflitti sanguinosi, violenze, cataclismi ambientali, sfruttamento disumano, colpevoli di esistere e di cercare un futuro migliore per sé e i propri figli. L’Unità ne discute con Silvia Stilli, presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), che rappresenta più di 500 organizzazioni non governative, interne e internazionali.

Nella Striscia di Gaza, come nel Mediterraneo, gli operatori umanitari e le Ong sono testimoni scomodi di crimini che si vorrebbero oscurare.
La scelta della solidarietà attiva in contesti di violazione dei diritti, violenze e conflitti da tempo porta con sé il rischio di non essere universalmente amati. Le Ong italiane non ne avevano avuto coscienza fino alla vicenda dei “taxi del mare” nel 2017, quando d’improvviso si associò l’immagine delle navi del soccorso umanitario per i profughi dei barconi della morte a quella di chi porta i terroristi mediorientali nelle coste italiane. Ma il primo vero atto politico che mise in discussione l’imparzialità e la trasparenza dell’umanitario civile italiano coincise con la pantomima del Codice di Condotta da applicare alle navi delle Ong, ideata purtroppo da un Ministro del Partito Democratico, Marco Minniti. La costruzione dell’immagine dei ‘buonisti ingenui’ (le Ong, appunto), che ispirò la creazione di quel Codice, era mirata a tenere il più possibile lontani dal dramma delle morti nel Mediterraneo e in silenzio i testimoni di atti di violazioni dei diritti umani da parte del governo libico: quello stesso con cui andavano a trattare esponenti di rilievo del nostro governo, ricordo ancora, che erano di centrosinistra. Salvini così ebbe la strada spianata da Ministro dell’Interno nel dare a seguire libero sfogo ai violenti attacchi alle ong e alla limitazione dell’operare umanitario. Negli stessi anni, da parte della Lega e della stampa vicina a questo partito, partì una campagna denigratoria nei confronti delle ong operanti in Palestina, accusate senza alcuna ragione di sostenere il terrorismo per il semplice fatto di avere progetti umanitari a Gaza. In tutto il mondo le ong vengono prese di mira da chi non vuole avere intralci, perché la loro missione è difendere i diritti umani e condannarne le violazioni, stando a contatto con le vittime di guerre e violenze contro le persone e la Terra. Lo abbiamo messo in conto nel confermare la scelta di essere soggetti solidali.

Pagando prezzi altissimi, in termini di vite spezzate.
Questo è successo ai colleghi di World Central Kitchen. “Un tragico errore”: così il Premier israeliano Netanyahu ha definito l’omicidio di questi giorni di 7 operatori umanitari, colpiti in tre momenti diversi e da tre differenti missili, mentre tornavano alla sede dal magazzino dove avevano lasciato 100 tonnellate di aiuti alimentari arrivati via mare. La ricostruzione resa pubblica oggi di quanto è avvenuto da parte del comando dell’Idf, le forze di difesa israeliane che occupano e tengono ‘a ferro e fuoco’ la Striscia di Gaza da ottobre scorso, smentisce di fatto la tesi del Premier israeliano: non è vi stato alcun tragico errore, perché le vetture visibilmente contrassegnate dai loghi dell’ong World Central Kitchen sono state prese di mira da chi ha scelto deliberatamente di comandare ad un drone l’attacco ad un convoglio umanitario, tentando poi goffamente di giustificare l’efferato atto con il sospetto che tra i passeggeri vi fosse un terrorista. Come se per l’eliminazione di un sol uomo fosse giustificata una strage di innocenti. E comunque non è questo il caso, nessun terrorista si nascondeva in quelle vetture. Per il governo di Netanyahu, la presenza a Gaza di stranieri che danno aiuto e assistenza alla popolazione civile è più che un fastidio, è un pericoloso ostacolo al disegno di annientamento e deportazione dei palestinesi presenti nella Striscia, che prosegue nel silenzio della diplomazia mondiale. Quanto ancora si deve lasciar agire impunemente Israele? Davvero si è disposti a definire un tragico errore l’uccisione di decine di civili in fila per il cibo a Rafah, medici e pazienti innocenti in un ospedale, operatori umanitari che distribuiscono aiuti?

Cos’ altro deve accadere perché il mondo sanzioni chi si macchia di crimini di guerra e contro l’umanità? A Gaza non c’è un posto sicuro perché, come ha denunciato l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Josep Borrell, è diventata “un grande cimitero a cielo aperto”. La comunità internazionale, e in essa l’Europa, non interviene. Complici di un genocidio?
Se la mancanza di azione continua, sì, l’Europa e la comunità internazionale saranno complici di genocidio. Ci sono ormai quasi 35.000 persone morte e milioni di feriti conteggiati come ‘danno collaterale’ a Gaza. Unrwa denuncia il pericolo imminente di milioni di perdite umane a causa della mancanza di acqua e generi alimentari per adulti, bambini e neonati e a causa di condizioni igieniche insostenibili. I quasi 2 milioni di rifugiati nel campo di Rafah sono la fotografia della disumanità, resa più intollerabile dalla stupidità del lancio di pacchi di aiuti con i paracadute, che hanno provocato ulteriori morti. È un film dell’orrore di cui non si legge la parola FINE. La Corte Internazionale di Giustizia, nelle prescrizioni recenti al Governo di Israele, ha ribadito che l’utilizzo della fame come arma di guerra e tutti gli attacchi alla popolazione civile protetta dal diritto umanitario sono una potenziale violazione della Convenzione contro il genocidio. Eppure, migliaia sono i camion di aiuti bloccati prima del valico di Rafah non ammessi dall’Idf in entrata nel territorio della Striscia e tantissimi sono i generi rispediti in Egitto dall’occupante israeliano: tra questi le carrozzelle e stampelle per disabili e le incubatrici per nati prematuri. Cosa sta succedendo ad un’umanità che accetta questo orrore? Le nostre organizzazioni umanitarie lo ripetono da ottobre che occorre agire subito, fermare il governo di Netanyahu: adesso è irrimandabile, prima dell’attacco annunciato a Rafah, ed evitando anche la messa a terra del pensiero del Ministro degli Esteri israeliano Gallant, che vuole dichiarare guerra al Libano e vuole ‘regionalizzare’ il conflitto. La Corte Internazionale di Giustizia sta facendo un lavoro importante: chiamata dal Sudafrica a esprimersi sull’accusa ad Israele di genocidio per i massacri di civili a Gaza, prima di arrivare alla sentenza ha ritenuto opportuno ordinare al Governo presieduto da Netanyahu, ripeto, di sbloccare gli aiuti umanitari per la popolazione civile della Striscia e facilitarne la distribuzione. A marzo scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha pubblicato la risoluzione vincolante che chiede l’immediato Cessate il Fuoco. Ma non si sono fermati i massacri e le violenze. La morte di 7 stranieri pacifici e solidali sembra aver spinto il vento a cambiare direzione. Biden, Cameron e alcune forze politiche indulgenti fino a ieri con Israele, anche nel nostro Paese, parlano di azioni inaccettabili e a cui Netanyahu deve mettere fine.

Cosa fare per sostenere il popolo palestinese e affermare la Pace giusta?
Prima di tutto ricordiamoci cosa deve fare la politica mondiale per garantire pace e giustizia. Convintamente ed energicamente ha il compito irrimandabile di: pretendere il Cessate il Fuoco immediato e stabile dalle parti in conflitto; far entrare in sicurezza aiuti e operatori umanitari e fermare il massacro della popolazione civile da parte dell’esercito israeliano in corso oggi a Gaza; obbligare Hamas alla liberazione degli ostaggi del 7 ottobre; cedere alle Nazioni Unite la titolarità della regìa delle trattative di pace e giustizia tra Israele e la Palestina. Sia la Corte Internazionale a giudicare chi si è fatto da decenni protagonista delle violazioni dei diritti e delle violenze e dei soprusi per entrambe le parti. Senza sconti per nessuno, nemmeno per i coloni israeliani. Il popolo palestinese deve essere messo nelle condizioni di poter scegliere la propria classe dirigente e i propri rappresentanti e il proprio futuro in sicurezza e a pari condizioni e dignità delle cittadine e dei cittadini israeliani. Oggi non è così. La Palestina deve avere la sua posizione riconosciuta universalmente nella mappa geopolitica del mondo conosciuto. Come ciò debba avvenire e quale sia la soluzione più giusta non so dirlo: due popoli in due Stati o Stato binazionale? Non ho la risposta. Ma intanto serve la Pace. Cosa possiamo e dobbiamo fare per il popolo palestinese come comunità civile? Continuare a sostenere le organizzazioni umanitarie che raccolgono fondi e riescono a distribuire aiuti nella Striscia e stanno realizzando programmi di sviluppo in Cisgiordania compresa Gerusalemme Est. L’Aics, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, ha bloccato i progetti delle Ong italiane nella Striscia di Gaza, “per cause di forza maggiore”, dato che non vi sono “condizioni di sicurezza”. Non vi è mai una condizione di sicurezza dove operano le organizzazioni umanitarie, perché stanno in mezzo a guerre ed emergenze, in un mondo che conta circa 100 conflitti aperti più o meno “dichiarati”. A Gaza le Ong italiane sono operative attraverso il personale locale, che supporta volontariamente la distribuzione di cibo di Wfp (World Food Programme). Quindi sono in grado di continuare le attività. Per aiutare la popolazione civile palestinese devono anche essere ripristinati i finanziamenti all’unica Agenzia Onu in grado di garantire la presenza e operatività ovunque nella Striscia: Unrwa. Parlamento e opinione pubblica pretendano che il Governo italiano lo faccia subito, seguendo l’esempio di Canada, Spagna e anche UE.

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