Le Pen mette spalle al muro Meloni: “Scegli con chi stare”

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Se a contendersi l’egemonia sulla destra fossero Giorgia Meloni e Matteo Salvini non ci sarebbe partita. Il Capitano è decotto da un pezzo. Annaspa cercando di non annegare e come spesso capita in simili circostanze, più si agita più affonda.

Giorgia invece è lanciatissima e regge bene, almeno sul piano dell’immagine, la prova del governo, in molti casi letale per chi dalla comodità del palco passa alla scomodità della guida effettiva di un Paese.

Lei e il suo vice sono entrambi animali da comiziaccio ruvido e retorico ma Salvini non dispone di altre frecce, Meloni ha due facce e quella pragmatica, quando serve, ha sempre la meglio sulla pantomima comiziante.

Però la leader della destra italiana deve invece vedersela con quella che fino a ieri era la sua omologa francese e che domani, se le riuscirà il terzo tentativo di dare l’arrembaggio all’Eliseo, potrebbe tornare a esserlo. Le due donne, quanto a romanzo di formazione, hanno moltissimo di diverso ma anche qualcosa in comune. Giorgia è cresciuta nei quartieri popolari della Capitale.

Marine, si sa, è figlia d’arte e il padre Jean-Marie, fondatore e primo leader del Front National, era comunque un politico di rilievo, sia pur nel chiuso del suo ghetto. Ma entrambe hanno scoperto la politica da ragazze, forse Giorgia un po’ prima ma anche la francese, militante nel Front di papà dai 18 anni in poi non scherza.

Condividono poi quella sorta di vittimismo atavico e ontologico, quindi insuperabile, che la premier italiana non manca di ostentare. Si sono sentite entrambe underdog perché di destra, un marchio che Le Pen ritiene la abbia penalizzata anche negli studi e nei voti.

La famiglia ha regalato a entrambe una certa dose di dolore: l’abbandono del padre per l’italiana, il divorzio dei genitori messo impietosamente sotto i riflettori dai media la francese. Il vero elemento comune, però, è quel tanto di pragmatismo astuto che le ha spinte a sacrificare l’estremismo di facciata per proporsi come versione accettabile e più presentabile della destra radicale.

Per Marine la rottura col padre biologico e politico è stata tempestosa: alla fine lo ha espulso dal partito che aveva da lui ereditato. Giorgia per certi versi marcia sul binario opposto. Lei il padre politico, Giorgio Almirante, non solo non lo ha mai rinnegato ma lo porta nel cuore e si sente, anche se lo confessa solo fra le righe, destinata ad avverarne sogni e progetti.

Nella strategia politica però quella che si è spinta molto più avanti è la leader di Fratelli d’Italia. Ha rotto i ponti con l’essenza del dna della destra europea: l’antieuropeismo, ha varcato il Rubicone abbracciando la Nato per la gioia del presidente degli Usa che se la coccola con gli occhi ogni volta che lo incontra.

Ha dato alla sospettosa Europa una prova d’amore definitiva passando dal tifo per Putin all’oltranzismo antirusso. Le Pen no, e il problema per Giorgia è proprio questo. Sabato scorso la convention romana dell’eurogruppo Identità e Democrazia, i “sovranisti” per convenzione mediatica, sembrava votata a certo fallimento.

Nessun ospite d’onore, ben poco da dire che non fosse già stato detto un milione di volte. A rianimare le assise risollevandone le meste sorti è stata Marine, senza neanche scomodarsi di persona ma azzannando “Giorgia” da videomessaggio, una formula che avrebbe mandato in sollucchero Berlusconi.

Marine è stata brusca e sbrigativa: “Stai con noi, con la destra, o con von der Leyen”. E siccome con Ursula stanno e staranno, obtorto collo, i socialisti la formula, per proprietà transitiva, suona come “Stai con la destra sovranista o con il Pse e Macron”.

Salvini la ha messa infatti direttamente così, ma è solo uno scudiero solerte nel far proprio e amplificare il messaggio della vera leader francese della destra radicale europea. Domanda più scomoda a Giorgia Meloni non si poteva fare. Infatti la replica è stata affannata quanto inviperita.

Enunciazioni confuse: agguerrite nella forma, ambigue nella sostanza. Che abbia tutte le intenzioni di votare per la ri-presidenza von der Leyen è chiaro e dal punto di vista dei vantaggi politici, per lei e per il Paese che guida, nessuno potrebbe obiettare. Ma pragmatismo e identità vanno poco d’accordo e lo sgambetto di Marine consiste proprio nello spostare confronto e scontro sul piano dell’identità.

Se ci si limita al cortile di casa, la posta in gioco nella partita impari tra la Sorella d’Italia e il leghista è il solito pugnetto di voti alle europee. Se si allarga l’orizzonte sino a individuare in Marine Le Pen la vera controparte di Meloni, la posta in gioco lievita: è il dna stesso della destra europea, i suoi caratteri e i suoi obiettivi.

La sua identità. Niente di troppo interessante finché si trattava di movimenti inconsistenti, rumorosi e innocui. Se le urne confermeranno l’ondata di destra un po’ ovunque, la faccenda e l’esito del duello diventano un bel po’ più rilevanti.

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