Mattarella schiaffeggia il governo Meloni sul Ramadam: la lettera contro le politiche xenofobe, è scontro aperto sul premierato

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Poche parole, apparentemente formali: “L’ho molto apprezzata”. Ma quella cortese lettera inviata dal capo dello Stato Sergio Mattarella a Maria Rendani, vicepreside dell’istituto scolastico Iqbal Masih di Pioltello, finito nel mirino del ministro dell’Istruzione Valditara per la decisione poi confermata all’unanimità dal consiglio scolastico per il Ramadam, è in realtà un gesto politico ricchissimo di implicazioni che avranno in futuro tutto il loro peso.

Mattarella ha aspettato che la vicenda avesse almeno per il momento termine con la decisione del consiglio di confermare la chiusura il 10 aprile, ultimo giorno del Ramadan, modificando la motivazione con la formula “esigenze didattiche”.

Ma nella sua lettera alla preside ha voluto specificare che al di là del singolo episodio “in realtà di modesto rilievo”, il suo elogio va al docente dell’istituto per come adempie a “un compito prezioso e particolarmente impegnativo”. Quel compito è l’inclusione e il modo con cui ci si confronta l’istituto di Pioltello è diametralmente opposto a quello prediletto dal governo e dalla maggioranza.

Non a caso FdI, non paga del chiasso provocato da Valditara preannuncia un’interrogazione al ministro stesso per sapere come intenda muoversi nei confronti dell’istituto, anzi contro l’istituto. In altre parole, con una semplice letterina il presidente ha sconfessato l’intera politica dell’immigrazione del governo e garantito una copertura assoluta al corpo docente che governo e maggioranza intendevano bersagliare.

Un gesto così esplicito e così forte da parte del presidente Mattarella non era scontato e non è, o non è stato sinora, usuale. Dalla nascita del governo Meloni in poi il presidente ha seguito una linea di condotta precisa: evitare per quanto possibile frizioni, o provare a risolverle senza troppo rumore quando si sono create, nella convinzione che una tensione istituzionale sia quanto di meno utile per il Paese.

Nelle ultime settimane qualcosa è cambiato. Il presidente, poche settimane fa, ci ha tenuto a far sapere che la sua firma in calce alle leggi proposte dal governo non significa affatto condivisione ma solo applicazione di un dovere costituzionale.

Lo ha fatto per rispondere una volta per tutte a quanti gli chiedono in continuazione di non firmare questa o quella legge, come se la Costituzione permettesse al presidente di firmare solo le leggi che approva e non quelle varate correttamente dal Parlamento purché non platealmente anticostituzionali. Ma lo ha fatto anche, forse soprattutto, per far sapere che la sua firma non può essere sbandierata come prova della bontà di una legge nella sostanza.

Negli ultimi tempi, poi, Mattarella è intervenuto con frequenza molto maggiore del solito su episodi anche minori, come appunto il caso della scuola di Pioltello. Si tratta con ogni probabilità di una scelta precisa.

Al presidente certo non sfugge che proprio il ruolo del Quirinale sarà, o meglio è già, il tasto su cui più batte il fronte contrario alla riforma costituzionale che introdurrà il premierato, in vista del referendum. Nella sostanza può essere una scelta discutibile, dal momento che a essere spianato da quella riforma è soprattutto il Parlamento.

Dal punto di vista dell’opportunità propagandistica è invece una scelta giusta. Gli italiani diffidano dei partiti e dunque del Parlamento mentre si fidano della presidenza della Repubblica, sia come istituzione che nella persona fisica di Sergio Mattarella oggi.

Farsi sentire anche in merito a episodi in sé di limitata importanza, rintuzzare nei fatti le derive politiche che governo e maggioranza cercano di imporre, senza peraltro mai violare i limiti del suo mandato, è un modo per comunicare ai futuri elettori che il ruolo di garanzia svolto dal Colle non si esercita solo in pochissime e macroscopiche situazioni, come le crisi di governo, ma è invece una fondamentale presenza quotidiana e una presenza necessaria per frenare le tendenze peggiori e più invasive dei governi.

Il rivale di Giorgia Meloni, nella partita per riscrivere la Costituzione, è Sergio Mattarella, anche se lui non lo ammetterebbe mai e non renderebbe mai esplicito il suo giudizio sulla riforma della destra.

È un rivale pericolosissimo per la premier e lei se ne rende perfettamente conto. Appena poche settimane fa l’ordine di scuderia della maggioranza era accelerare la marcia in modo da sbandierare l’approvazione della riforma in prima lettura nella campagna per le europee.

A frenare, all’improvviso e contro il parere della ministra Casellati, è stata proprio FdI, o meglio il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Balboni, uomo di fiducia di Giorgia Meloni.

Nonostante gli strepiti della ministra Casellati ha deciso di lasciare ampio spazio all’opposizione, con il suo diluvio di emendamenti al limite dell’ostruzionismo, anche a costo di rinviare l’approvazione in prima lettura e rallentare di molto l’intero percorso.

È certamente una decisione presa dalla leader, dovuta a diverse considerazioni. Una delle principali è proprio la necessità di avere più tempo a disposizione per convincere gli elettori. Con Mattarella di mezzo la formula che la premier immaginava magica, “Volete o no decidere voi chi vi governa?”, non basta più.

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