Perché il saluto fascista è reato: istigazione o propaganda?

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Fare il saluto romano o rispondere alla “chiamata del presente” è reato perché manifestazione usuale del disciolto partito fascista (art. 5 legge Scelba del 1952) oppure di gruppi che, come quelli fascisti, svolgono propaganda razzista (art. 2 legge Mancino del 1993)?

Sono reati di pericolo astratto, e quindi sussistenti sempre e comunque, oppure di pericolo concreto, in base alle circostanze? Sono reati che possono concorrere oppure uno dei due deroga, come norma speciale, l’altro? Sono questi gli interrogativi che la Cassazione era chiamata a sciogliere con la sentenza emessa lo scorso 18 gennaio e di cui mercoledì scorso sono state depositate le motivazioni.

Una sentenza attesa non solo dagli operatori del diritto, considerate le divergenti sentenze su tali temi tra le diverse sezioni della Cassazione (da qui il ricorso alle sezioni unite), ma anche dalla politica, periodicamente divisa tra chi considera tali manifestazioni protette dalla libertà d’espressione (art. 21 Cost.) e chi, all’opposto, le giudica intollerabili in una Costituzione che vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista (XII disposizione finale) e bandisce ideologie discriminatorie lesive della dignità sociale e dell’eguaglianza della persona (artt. 2 e 3 Cost.).

Una divisione che rimanda ad un interrogativo di fondo, purtroppo quanto mai attuale: come può una democrazia difendersi dai suoi nemici senza tradire sé stessa? Le risposte dei giudici della Cassazione non tradiscono le attese.

Esse s’inseriscono nel solco di una giurisprudenza costituzionale che, sin dagli anni 50, interpretando fedelmente lo spirito della nostra Costituzione, ha chiarito che la nostra non è una democrazia che dà “ai suoi nemici mortali gli strumenti con i quali essere distrutta” (Goebbels) perché se si è tolleranti con gli intolleranti “i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi” (Popper); ma non è nemmeno una democrazia che per difendersi dai suoi nemici, possa abusare dei suoi poteri fino al punto di adottarne i metodi, con il rischio che, in nome della difesa del pluralismo, lo si limiti per reprimere quel dissenso che invece ne costituisce l’essenza.

In questo quadro, hanno scritto i giudici, le leggi Scelba e Mancino identificano distinte ipotesi di reato. Entrambe puniscono le manifestazioni tenute in pubbliche riunioni ma per finalità diverse: la legge Scelba per evitare la ricostituzione del partito fascista, vietata dalla Costituzione, preservando l’ordinamento da condotte che possano metterne in pericolo i fondamenti anche istituzionali; la legge Mancino per evitare che organizzazioni, movimenti o gruppi incitino alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, erodendo i valori costituzionali di solidarietà, dignità ed eguaglianza.

Le due ipotesi di reato sono altresì diverse per la natura del pericolo che intendono reprimere. Il reato di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista è di pericolo concreto per cui sussiste quando si provi la loro effettiva finalizzazione alla sua ricostituzione.

Il che significa, nel caso in specie, che il saluto romano non è reato in sé ma solo quando, alla luce delle specifiche circostanze in cui è compiuto, vi è la seria probabilità che sia effettuato per far rinascere il partito fascista. Il che – notano significativamente i giudici – non può escludersi possa verificarsi anche in occasioni commemorative, come quelle annuali ad Acca Laurentia o a Predappio.

Di contro, il reato di diffusione di idee discriminatorie è un reato di pericolo astratto, perché commesso da aggregazioni sociali, anche estemporanee, che proprio per la loro consistenza hanno maggiore capacità rispetto al singolo di diffondere tali idee e che, per questo motivo, il legislatore ha ritenuto preventivamente e presuntivamente pericolose.

Si tratta di una precisazione molto importante perché ciò significa che per i giudici il saluto romano, anche se non finalizzato alla ricostituzione del partito fascista, può comunque costituire reato se vi è la presuntiva possibilità, e non anche la probabilità, che tramite esso tali gruppi vogliano diffondere idee discriminatorie.

Per quanto i giudici, temendo processi alle intenzioni, precisino che il “pericolo presunto” deve comunque coniugarsi con il principio di offensività, rimane forte il dubbio se un reato di pericolo astratto leda la libertà d’espressione. Questione su cui, proprio in relazione alla legge Mancino, la Corte costituzionale non si è mai pronunciata.

È ben possibile, dunque, che il saluto romano sia punito per entrambi i reati. “Anzitutto”, scrivono i giudici, esso è fisiologicamente riconducibile alle usuali manifestazioni fasciste che però sono punite se vi è il pericolo concreto di ricostituire, tramite esso, il relativo partito.

A tal fine, il giudice deve valutare complessivamente “la sussistenza degli elementi di fatto”, quali ad esempio “il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo di verificazione, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti, ecc.) idonei a dare concretezza al pericolo”.

Oltreché ai sensi della legge Scelba, il saluto romano può essere punito anche in base alla legge Mancino “a fronte di determinati presupposti” che inducano a ritenere che si tratti di un gesto che, seppur in un ambito diverso da quello fascista, evochi simbolicamente idee di intolleranza e di discriminazione razziale promosse a livello non individuale ma associativo.

Su quest’ultimo punto ci sia però consentito un ulteriore dubbio: è possibile perseguire il saluto romano come manifestazione discriminatoria solo se di un gruppo e non di un singolo se, per Costituzione (art. 18), vi deve essere corrispondenza tra ciò che è vietato al singolo e ciò che è vietato in forma associata? In altri termini, è costituzionale una legge che vieta una condotta solo se posta in essere da un gruppo di persone anziché da una sola?

È certamente troppo sperare che gli antifascisti in servizio permanente, che in nome di una malintesa interpretazione della Costituzione vorrebbero ossessivamente bandire dallo spazio pubblico ogni anche più innocuo riferimento al fascismo (meglio: a quello da loro etichettato come tale), condividano il senso e il significato profondo di questa sentenza.

A noi basta che essa si radichi profondamente nella matrice certo antifascista, ma proprio per questo anche liberale e democratica della nostra Costituzione per la quale le idee, finché rimangono tali e non abbiano un concreto contenuto offensivo e una carica istigatrice alla violenza, si combattono con le idee, e non con il carcere.

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