Perché Ilaria Salis e Beniamino Zuncheddu dovrebbero essere candidati dal Pd alle Europee

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Negli ultimi mesi sono successi due fatti che – più degli altri – hanno messo in evidenza ancora una volta come in alcuni paesi europei il sistema giudiziario sia lontano dall’essere conforme allo Stato di diritto. Questi incresciosi episodi sono avvenuti a pochi mesi dalle elezioni europee. Unione europea che, è bene ricordarlo, si fonda proprio sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.

Il primo fatto è avvenuto in Ungheria, a carico di una cittadina italiana. Il secondo in Italia, sempre a carico di un nostro concittadino. Ovviamente parliamo di Ilaria Salis, trascinata in una aula giudiziaria ungherese con delle catene e manette ai polsi e alle caviglie. Ovviamente parliamo di Beniamino Zuncheddu, in carcere da innocente e libero dopo 32 anni di reclusione. Era essere stato condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai dell’8 gennaio 1991. Parliamo di due persone molto diverse tra di loro ma che, più di tutte, oggi vivono sulla propria pelle un sistema giustizia che non funziona tanto in Ungheria quanto in Italia.

Per questo, quando gli organi di informazione hanno dato la notizia di una possibile candidatura per le elezioni europee di Ilaria Salis nelle liste del Pd, ho reagito con entusiasmo. Chi meglio di lei potrebbe rappresentare al Parlamento europeo le condizioni disumane e degradanti delle carceri e delle aule di tribunale in Ungheria? Lo stesso discorso però dovrebbe valere per Beniamino Zuncheddu. Chi meglio di lui potrebbe rappresentare al Parlamento europeo una giustizia come quella italiana che ti condanna all’ergastolo e che dopo 32 anni ti mette in libertà perché si è sbagliata?

Il punto non è tanto l’immunità – più volte richiamata nel caso Salis – ma come il corpo del detenuto possa diventare iniziativa politica all’interno delle Istituzioni. Proprio come avvenne agli inizi degli anni 80 con i casi Toni Negri ed Enzo Tortora. Anni in cui la carcerazione preventiva era possibile fino ad 11 anni e la situazione della giustizia italiana era drammatica, sintetizzabile con i seguenti dati: 25 mila detenuti in attesa di giudizio, su 100 imputati sottoposti a procedimento penale, soltanto 25-30 venivano condannati. Negri e Tortora subirono – tra le altre cose – proprio l’abuso della carcerazione preventiva. I Radicali utilizzarono le loro storie come iniziativa politica. Eppure parliamo di personaggi tanto egocentrici quanto distanti tra di loro. Infatti basta ri-leggersi quanto nel 1983 scrivevano e dicevano l’uno dell’altro. Il 5 agosto 1983, a seguito di una lettera di Tortora al quotidiano La Stampa, Toni Negri scrisse al conduttore della Rai una lettera che si concludeva così: “Forse questa drammatica vicenda sarà servita a far capire a lei e alla gente cosa è la galera, cosa è la giustizia e cosa sono i pentiti in Italia”.

Enzo Tortora, il 14 settembre 1983, rispose indirettamente al Professore, infatti in una intervista rilasciata all’ufficio di Venezia dell’Ansa, disse “se avessi voluto rispondere a Negri, avrei dovuto inviargli due lettere. Una al cittadino italiano Negri, significandogli la mia solidarietà piena per un termine così ingiusto di carcerazione preventiva. In questo Negri è un simbolo di ingiustizia comune a moltissimi, politici e non. Ma una seconda lettera avrei dovuto mandare al Prof. Toni Negri, dalla cui ideologia sono agli antipodi. Io per esempio, non ho mai detto, come Toni Negri, che ‘non sono del tutto innocente’. Io sono, invece, completamente innocente.” Ma tornando all’oggi, la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, potrebbe stupire tutti, uscendo dall’angolo e regalando una novità alla politica italiana non di poco conto. Candidare Ilaria Salis e Beniamino Zuncheddu avrebbe il merito di porre al centro della campagna elettorale il tema giustizia, uscendo dallo stantio dibattito sul cosiddetto campo largo e sul caso Bari.

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