Perché Israele ha colpito la base aerea di Ishafan: ritorsione simbolica per mandare un segnale

RMAG news

Una ritorsione “contenuta”, più simbolica che sostanziale. Quello che chiedeva il munifico (in sostegno in armamenti e coperture diplomatiche all’Onu) alleato americano. Ma una cosa è certa: il contenimento sul fronte iraniano, per Netanyahu ha come contropartita il via libera americano all’offensiva di terra a Rafah.

La ritorsione israeliana nei confronti di Teheran si è consumata nella notte tra giovedì e ieri (le 4.30 ora italiana) con un attacco che ha colpito una base aerea militare vicino alla città di Ishafan, nell’Iran centrale.

La base ospita da tempo la flotta aerea iraniana di F-14 Tomcat di fabbricazione americana, acquistati prima della rivoluzione islamica del 1979. Nella zona di Ishafan ci sono anche siti associati al programma nucleare compreso il sito sotterraneo di arricchimento di Natanz, che è stato ripetutamente preso di mira da sospetti attacchi di sabotaggio israeliani.

Tuttavia, la televisione di stato iraniana ha descritto tutti i siti della zona come «completamente sicuri». L’Iran ha attivato la propria difesa aerea dopo le notizie di un’esplosione ed ha anche chiuso lo spazio aereo su Teheran e altre città.

Il vero obiettivo, tuttavia, potrebbe essere l’Iran Aircraft Manufacturing Industrial Company (HESA) la fabbrica iraniana di produzione di droni iraniani usato nel raid della notte tra venerdì e sabato scorso contro lo Stato ebraico, situata nei pressi di Ishafan.

«Se il regime di Israele commettesse ancora volta un grave errore la nostra risposta sarà decisiva, definitiva e per loro un rammarico». Lo ha affermato il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, in un’intervista a Cnn, come riferisce Irna.

«La nostra prossima risposta sarà immediata e ai massimi livelli nel caso in cui il regime di Israele si imbarchi nuovamente in avventurismo e intraprenda azioni contro gli interessi dell’Iran», ha detto Amirabdollahian, affermando che gli Usa sono stati informati di questo tramite l’ambasciata della Svizzera a Teheran e che la Repubblica islamica non cerca di alzare le tensioni.

Un alto funzionario iraniano ha affermato che Teheran non prevede una ritorsione immediata dopo l’azione di Israele. Lo scrive l’agenzia russa Tass. «Occhio per occhio, dente per dente. Israele si è vendicato dove è stato attaccato» ma non ammetterà ufficialmente la responsabilità dell’attacco in Iran per ragioni strategiche.

È quanto riporta il Jerusalem Post, citando fonti israeliane di sicurezza e governative. Secondo le fonti israeliane citate dal Jerusalem Post, gli iraniani sostengono che si sia trattato di «un’esplosione in una fabbrica» perché vogliono evitare un’escalation.

Le fonti israeliane hanno dichiarato inoltre al Jerusalem Post che «non è chiaro perché il Pentagono abbia rivelato ai media Usa che Israele era coinvolto» in quanto accaduto in Iran. Per i funzionari israeliani, scrive ancora la testata, gli Usa «avrebbero potuto rimanere in silenzio e preservare la dignità dell’Iran ed evitare di aggravare la situazione da soli». «Un segnale all’Iran che Israele ha la capacità di colpire all’interno del Paese».

Così una fonte israeliana al Washington Post. La dichiarazione è stata ripresa anche dal quotidiano israeliano Haaretz. Una fonte dell’intelligence regionale a conoscenza della potenziale reazione dell’Iran all’attacco di oggi attribuito ad Israele ha detto alla Cnn che gli attacchi diretti da Stato a Stato tra i due Paesi sono «finiti».

La fonte, non autorizzata a parlare pubblicamente, ha affermato che, a sua conoscenza, non ci si aspetta una risposta dell’Iran, ma non ha fornito alcuna motivazione. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, «condanna qualsiasi atto di ritorsione» in Medio Oriente.

«Il Segretario generale ribadisce che è tempo di fermare il pericoloso ciclo di ritorsioni in Medio Oriente», ha detto il suo portavoce Stephane Dujarric in un comunicato stampa, e mette in guardia dal rischio di un «conflitto regionale diffuso». Una cosa è certa: il tabù dell’attacco diretto e reciproco tra Israele e Iran è caduto.

Restano le mani libere su Rafah (mentre il bilancio delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra è di 34.012 morti e 76.833 che sono rimaste ferite), che Netanyahu esige per portare a termine la “vittoria totale” su Hamas promessa a un Paese che crede sempre meno in lui.

“Ribadiamo la nostra opposizione ad un’operazione militare su vasta scala a Rafah, che avrebbe conseguenze catastrofi che sulla popolazione civile. Ribadiamo il nostro appello per un piano credibile e attuabile per proteggere la popolazione civile locale e rispondere ai loro bisogni umanitari”.

Lo si legge nel comunicato del G7 Esteri a Capri. Su Rafah «siamo stati molto chiari: non possiamo essere favorevoli a un’operazione militare a Rafah», ribadisce il segretario di Stato Usa Antony Blinken, durante la conferenza stampa al termine del G7 Esteri.

«Crediamo che si possono raggiungere gli stessi obiettivi con altri mezzi». Ma Netanyahu non è di questo avviso. A Rafah userà la mano pesante. E il mondo, al di là delle chiacchiere, lo lascerà fare.

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