Schlein sotto assedio: tra bizze di Conte, flop in Basilicata e nome nel simbolo nervi tesi al Nazareno

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“Andiamo oltre”: la frase di Cecilia Strada suona come un “Passiamo oltre” che rispecchia in pieno l’atteggiamento dell’intero Pd all’indomani del giorno più nero per Elly Schlein. Nessuno si lascia sfuggire una parola: prima ci se ne dimentica meglio è: tanto più con la sfida delle europee ormai davvero imminente. Solo che “passare oltre” davvero non è possibile.

Si può mettere il silenziatore sino al 10 giugno, questo sì, ma i due colpi ricevuti dalla segretaria del Pd in rapida sequenza, prima la rotta sulla proposta di inserire il nome nel simbolo della lista e subito dopo la sconfitta amara in Basilicata, sono destinati a incidere a fondo sugli equilibri e forse sulla stessa identità del Pd.

In privato e a microfoni spenti nessuno nasconde la portata dell’incidente: “Elly è senza maggioranza”, taglia corto un dirigente di vasta e antica esperienza. A quella trovata del nome nel simbolo la segretaria ci teneva moltissimo.

Era la sola possibilità di ribaltare il doppio scacco subìto nelle trattative per la composizione delle liste. Era stata respinta prima nella richiesta di presentarsi come capolista in tutte le circoscrizioni, poi in quella di candidare come primi nelle liste solo esponenti della società civile.

Il tentativo di sbarcare sull’ultima spiaggia, quella del simbolo, però è finita anche peggio: con una rivolta dell’intero partito nella quale i primi ad alzare la voce sono stati proprio i suoi sostenitori, come Peppe Provenzano, e i più irritati, anche perché avvertiti solo all’ultimo secondo, erano i capicorrente che la avevano spinta al Congresso, Dario Franceschini su tutti.

Insomma, Elly Schlein ha scoperto di dover trattare con il suo partito su tutto e di non avere spazio di manovra contro il partito stesso, forte solo del suo gruppo dirigente che il Pd vive in realtà come una specie di corpo estraneo, perché proveniente in larga misura dall’esterno del partito.

Elly ha scoperto anche quanto difficile sia la situazione nei rapporti con Conte. L’avvocato ha imposto il suo candidato alla segretaria che, a sua volta, lo ha imposto al partito locale. La conseguenza è stato lo spostamento esiziale e determinante dall’altra parte della barricata dei centristi, nelle cui liste è confluito probabilmente anche il voto dei piddini che intendevano farla pagare alla segretaria.

“Soprattutto al sud i ras locali di tutti i partiti sono lupi: come è possibile mandare tra i lupi agnellini inesperti come i due che aveva inviato Elly?”, sbotta un funzionario di lungo corso. Allude a Igor Taruffi e Davide Baruffi, i due dirigenti che avrebbero dovuto mettere le cose a posto nel ginepraio lucano con esiti non precisamente brillanti.

La resa è servita a poco. I 5S, che in Basilicata erano risultati fortissimi sia alle regionali del 2019 che alle politiche del 2019, sono tracollati. Segno probabilmente di quanto poco il grosso dell’elettorato a Cinque stelle sia disposto ad accettare l’alleanza con il Pd. In compenso quella resa ha determinato la sconfitta perché le liste civiche di Azione e di Italia Viva, sommate, hanno raggiunto circa il 15%.

Se il risultato dovesse essere confermato dalle europee e dalle comunali di Firenze, il prossimo 9 giugno, la segretaria dovrebbe fare i conti sia con la riottosità di Conte, l’alleato a cui non vuole e forse non può rinunciare ma che con le sue bizze e i suoi diktat produce danni spesso irreparabili, sia con i centristi ringalluzziti dal sentirsi ago della bilancia.

Nella rovinosa vicenda del simbolo è finito azzoppato anche Stefano Bonaccini. In cambio della indicazione come capolista nel Nord Est si è assunto il probabilmente sgradito compito di proporre lui la trovata del nome del simbolo, passo che però ha profondamente irritato la stessa minoranza. Insomma, anche da quel punto di vista il lunedì della segretaria resta nero.

Fino alle europee, comunque, non si muoverà una foglia. La sfida è troppo decisiva per potersi permettere di apparire poco compatti. La lacerazione degli ultimi giorni, impossibile da nascondersi del tutto, basta e avanza. Poi però si apriranno due prospettive opposte.

Il partito potrebbe chiedere alla segretaria senza più vera maggioranza di rivedere per intero il suo stile, fondato in realtà sulla massima centralizzazione, per arrivare esattamente dove lei non vuole andare: a una guida collegiale invece che verticistica del partito e a una rimessa in discussione se non delle alleanze a cui mira della strada da battere per arrivarci.

In concreto del modello di rapporti con Conte sin qui adottato. Ma potrebbe essere invece proprio Elly a decidere l’offensiva accusando il “vecchio” Pd di ostacolare la sua strategia in nome della conservazione e aprendo una battaglia interna per affermare quella leadership forte e incontrastata che si è dimostrata per ora inesistente.

Nessuna delle due vie è facile e priva di enormi rischi. Quale delle due il Pd imboccherà dipenderà in buona parte dall’esito delle europee ma anche delle elezioni comunali di Firenze e Bari. Entrambe roccaforti che il partito di Elly non può permettersi di perdere. Entrambe, ma soprattutto la prima, a rischio.

 

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