Smartphone e disagio dei giovani, quei ragazzi infelici che sanno digitare ma non scrivere

RMAG news

Venti anni fa Internet era un’evasione dal mondo reale. Oggi il mondo reale è una evasione da Internet.
(N.Smith)

È vivo, negli Stati Uniti in particolare, il dibattito sulle conseguenze negative, che investono soprattutto i giovani, derivanti dall’uso intensivo degli smartphone. La discussione è alimentata dal libro di Jonathan Haidt, docente di psicologia sociale alla New York University, e da una ricerca ad ampio raggio effettuata da Jean Marie Twenge, psicologa alla San Diego State University.

I due studiosi giungono a conclusioni coincidenti. La loro tesi è che negli Usa, dal 2010 in poi – nel periodo di diffusione galoppante degli smartphone – si è verificato, fra ragazzi e giovani, un incremento progressivo di ansia, depressione, disperazione e autolesionismo.

Fra il 2010 e il 2020 i tassi di depressione e ansia sono aumentati di circa il 50 per cento; i casi di suicidi sono cresciuti del 48 per cento fra i maschi dai 10 ai 19 anni; per le ragazze, dai 10 ai 14 anni, l’aumento è stato del 131 per cento.

Analogo è il problema in Europa. In Italia, per esempio, da inizio pandemia ad oggi, i giovani e i giovanissimi, che si sono presentati al pronto soccorso dell’ospedale Bambino Gesù per ansia e tentativi di suicidio, hanno registrato un aumento del 40 per cento.

Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, ha segnalato che in quella regione “sono migliaia ogni anno i ragazzi che soffrono di ansia da social e risultano iperdipendenti dagli smatphone”. Gli smartphone, dunque, perniciosi come una sorta di peste contemporanea? Gli studiosi portano molti argomenti a sostegno della loro tesi.

Dai genitori iperprotettivi, che con quello strumento pensano di controllare i loro pargoli nel tempo libero fuori casa, impedendo in questo modo che socializzino liberamente con i loro coetanei e attraverso il mondo reale; il fatto che il mondo virtuale, accessibile in ogni momento e “bevuto” per ore e ore, fornisce esempi di figure dominanti e apparentemente eroiche, percepite come irraggiungibili e dinanzi alle quali, perciò, ci si sente inadeguati e intimamente falliti; la pornografia che si comincia a visitare già a 8-10 anni, con la visione distorta dei rapporti sessuali; il distacco complessivo dalla realtà, trasfigurata in immagini sfavillanti quanto umbratili; il diluvio di notizie che non sono informazioni, triturate dal loro accavallarsi, che danno la sensazione di sapere di più, mentre invece diminuisce la conoscenza: e così si incunea l’analfabetismo di ritorno su base telematica, per cui si è abilissimi nel digitare, ma incapaci di scrivere e, soprattutto, di capire un testo di modesta complessità.

Il fenomeno, nel suo insieme, appare talmente serio che il premier Sunak pensa che sia necessario vietare gli smatphone agli under 16 in Gran Bretagna. Dubito che il proibizionismo – peraltro aggirabile come tutti i proibizionismi – sia una buona soluzione. Il rimedio, come sempre, è costituito da una corretta informazione, che generi consapevolezza.

Una leva fondamentale è costituita dalla scuola: sono indispensabili corsi di educazione digitale, che mostrino le opportunità di Internet insieme alle molteplici insidie. Chiarendo che la parola “Web”, con cui indichiamo la “Rete”, significa propriamente intreccio e ragnatela, per cui dobbiamo guardarci bene dal fare la fine della mosca che il ragno si attende…

E poi ci vorrebbe l’esempio degli adulti in famiglia. Se un ragazzino vede papà e mamma perennemente appesi… al cellulare, quale conclusione volete che tragga? E qui le note si fanno dolenti. Se molti giovani non stanno bene, è pur vero che molti adulti non sono campioni di salute: infatti circa il 50 per cento di loro assume psicofarmaci per fare finta di essere vivi.

Stiamo smarrendo il presupposto fondamentale della crescita umana, per cui è basilare la relazione. Il contatto – e il confronto – vero fra persone (come fra popoli) è il canale insostituibile della conoscenza. Solo se recuperiamo questa consapevolezza, potremo non diventare preda del solipsismo telematico. Non dagli algoritmi, ma tra le persone in carne e ossa passa la percezione vitale dell’umanità e del mondo.

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