Cosa significa il ritiro di Israele da Khan Younis, cosa c’è dietro la decisione di Netanyahu

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Un qualche contentino a quel rompi di Biden doveva darlo. Niente di che, sia chiaro. Tanto per dimostrare che lui non è sordo alle richieste dell’odiato inquilino della Casa Bianca, in attesa che allo Studio ovale rimetta piede l’amico Donald. E così, su ordine di Benjamin Netanyahu, l’esercito israeliano ha annunciato domenica di aver ritirato le sue forze da Khan Younis, roccaforte di Hamas e città natale del leader del gruppo, Yahya Sinwar, concludendo una fase chiave dell’offensiva di terra contro Hamas. I funzionari della difesa hanno però spiegato che le truppe si stanno semplicemente riorganizzando, e che l’esercito si preparava a muoversi verso l’ultima roccaforte di Hamas, Rafah. «La guerra a Gaza continua, e siamo ben lontani dal fermarci», precisa il capo dell’esercito, il tenente generale Herzi Halevi.

E a stretto giro arriva la conferma da Bibi in persona. La vittoria su Hamas “richiede l’ingresso a Rafah e l’eliminazione dei battaglioni terroristici presenti lì. Accadrà, c’è una data”, ha detto il premier israeliano in un video diffuso dal suo ufficio. Il premier ha poi detto di aver ricevuto “un rapporto dettagliato sui colloqui al Cairo, stiamo lavorando continuamente per raggiungere i nostri obiettivi, in primo luogo il rilascio di tutti i nostri ostaggi e la vittoria completa su Hamas”. Secondo l’emittente locale Channel 13 TV, Israele si prepara a iniziare l’evacuazione di Rafah entro una settimana e il processo potrebbe richiedere diversi mesi. “Evacuazione”, termine soft per non dire invasione. D’altro canto “Bibi” perderebbe il suo incarico come primo ministro se ponesse fine alla guerra contro Hamas senza portare avanti l’operazione militare a Rafah. Ne è convinto il ministro per la Sicurezza nazionale di Israele Itamar Ben-Gvir, che in un tweet afferma: “Se il primo ministro decidesse di porre fine alla guerra senza un attacco esteso a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà il mandato per continuare a servire come primo ministro’’.

Ma poi da cosa si sarebbe ritirato l’esercito israeliano? Al Jazeera, l’emittente qatariota, è entrata a Khan Yunis dopo che Israele ha annunciato il ritiro dalla città: il 90 per cento “è distrutto, la città è irriconoscibile”, sostiene la tv aggiungendo che sono state abbattute case ma anche strutture pubbliche, strade e intere aree. Alcuni palestinesi, che stanno tornando nella parte orientale di Khan Yunis, hanno dichiarato che non riuscivano a riconoscere le strade dove avevano vissuto tutta la vita. Senza guerra non c’è speranza di sopravvivenza politica per Netanyahu. E allora non c’è di meglio che una “super guerra”: quella con l’Iran. L’esercito israeliano si prepara a una rappresaglia di Teheran, dopo l’attacco portato a termine contro il consolato iraniano a Damasco. I filmati rilasciati dall’esercito israeliano mostrano l’esercitazione militare di truppe del Comando Nord dell’Idf. La risposta dell’Iran è attesa dal Libano o dalle alture del Golan. Venerdì, durante il funerale di Mohammad Reza Zahedi, il generale ucciso da Israele in Siria, il comandante in capo delle Guardie Rivoluzionarie, Hossein Salami, ha detto che «i nostri coraggiosi uomini puniranno il regime sionista», cioè Israele.

«Nessun atto del nemico contro il nostro sacro sistema rimarrà senza risposta». Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha detto che «la risposta iraniana all’attacco di Damasco arriverà senza dubbio». Due fonti militari iraniane hanno detto al New York Times che l’Iran ha messo le sue forze in stato di massima allerta e che le autorità hanno già preso la decisione di attaccare in qualche modo Israele, «per creare deterrenza», cioè per intimorire Israele ed evitare che ripeta uccisioni come quella di Damasco. Funzionari militari americani hanno confidato alla Cnn che gli Stati Uniti e Israele si stanno preparando a un «significativo» attacco dell’Iran contro postazioni israeliane o statunitensi in Medio Oriente, che potrebbe avvenire entro una settimana-dieci giorni. Che questa possibilità sia credibile lo dimostra il fatto che anche Israele ha aumentato il livello di allerta del proprio esercito, e negli ultimi due giorni ha messo in atto varie misure per intensificare la sorveglianza ed essere pronto a eventuali attacchi. Tra le altre cose, ha bloccato tutti i congedi per i suoi soldati attivi in combattimento, ha richiamato vari riservisti e, in alcune aree del paese, ha prodotto interferenze del segnale GPS (quello dei navigatori satellitari), per rendere più difficili eventuali attacchi con droni o mezzi guidati da remoto. E di fronte alla “super guerra” chi oserebbe attaccare il Primo ministro?

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