Dramma Cpr, migranti si auto infliggono torture con la speranza di uscire

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Abbiamo recentemente denunciato la situazione di numerose persone migranti detenute presso il CPR di Via Corelli di Milano (almeno 30 e i 40 negli ultimi 10 giorni), che stanno facendo ricorso ad atti di autolesionismo (in particolare ingestione di corpi estranei pericolosi quali lamette, pezzi di vetro, cocci di mattoni, etc. nonché lesioni traumatiche agli arti auto-procurate con pugni e calci dati a muri e altri supporti rigidi) per essere condotti in Pronto Soccorso e sperare nella possibilità di vedersi riconoscere la non idoneità alla vita nel CPR ed essere finalmente rilasciati.

La violenza su di sé in ambito detentivo è stata ampiamente studiata, e si configura tra le altre cose non solo e non necessariamente come una forma “somatizzata” di sofferenza psichica (definizione “classica” di autolesionismo), ma anche come forma estrema di “comunicazione”, in quella “forma di scrittura che utilizza il proprio corpo come carta” (Manconi e Torrente, 2015), nonché come forma estrema di protesta nei confronti del sistema detentivo.

E, come ebbe a dire Franco Basaglia (di cui in questi giorni ricorre il centenario della nascita) in un’intervista degli anni ’70, spesso “i trattamenti messi in atto rappresentano proprio degli strumenti di repressione di ogni possibilità di resistere all’istituzione”.

E le parole di Basaglia ben si addicono, oltre al manicomio, alle altre “istituzioni totali” del nostro tempo e del nostro Paese: il carcere e, nello specifico, il CPR. Ma cosa significa, concretamente, realizzare degli atti autolesivi come quelli che si stanno verificando in queste ore presso il CPR di Via Corelli? Cosa accade ai corpi “usati come carta” per messaggi tanto chiari quanto inascoltati?

E quali riflessioni ci permettono di trarre sulla detenzione amministrativa nei CPR? Il nostro dr. Nicola Cocco ha chiesto a due colleghi medici specialisti che lavorano in due diversi ospedali lombardi. FG è una chirurga, e le ha fatto qualche domanda sull’ingestione di corpi estranei taglienti

Cosa si rischia esattamente dal punto di vista medico?
“Ingerire oggetti taglienti (lamette, se non oggetti di fortuna come cocci di ceramica o frammenti di vetro) sottopone la persona a gravi rischi per la salute, per lo più nel breve termine. Infatti il rischio principale riguarda il sanguinamento da lacerazione delle pareti del tratto gastrointestinale coinvolto, se non la perforazione, con quadri di gravità e urgenza diversi in base al livello in cui la lacerazione avviene. In particolare, se la perforazione avviene a livello esofageo, vi è un altissimo rischio di mediastinite, ovvero i batteri contenuti in bocca ed esofago raggiungono e infettano in mediastino, spazio sterile in cui sono contenuti principalmente cuore e grossi vasi sanguigni. Se la perforazione avviene a livello dello stomaco o dell’intestino, si genera una peritonite, ovvero i batteri contenuti nel lume gastrico o intestinale infettano la cavità addominale. Entrambe le condizioni portano rapidamente (24- 36 ore in base all’entità della perforazione) a un quando di sepsi, ovvero di Infezione di tutto l’organismo, con rapida compromissione delle funzioni vitali (cardiache, respiratorie, cerebrali), fi no alla morte se non vi è un intervento medico tempestivo.”

Quanto è doloroso l’atto dell’ingestione?
“Tutti i passaggi sono dolorosi, dal dolore iniziale procurato dai tagli a livello del cavo orale e del faringe, e ancor più nella complicanza… Al di fuori del “momento” della lacerazione, doloroso di per sé, ancora più dolorosa è la complicanza perché genera un’immediata reazione di infiammazione via via ingravescente… Le persone che si presentano con mediastinite o, soprattutto, peritonite di solito riferiscono un dolore intenso, 9/10 in una scala in cui 10 è il massimo…”

Da medico, che effetto fa pensare che una persona corra una serie di rischi come quelli di cui hai parlato, e con il conseguente dolore che l’ingestione di oggetti causa, pur di avere un’opportunità di essere rilasciata dal CPR?
“Credo che debba far riflettere che persone non affette da gravi patologie psichiatriche decidano di autoinfliggersi una tale sofferenza, – che peraltro potrebbe portarle alla morte – per poter uscire dai centri in cui sono detenute. Persone che spesso hanno già resistito al dolore, alla fame, alla sete, alla solitudine durante il viaggio che le ha portate in Europa.”

ML è invece uno specialista in ortopedia e traumatologia. Cosa può dirci sulle fratture e lesioni agli arti attuate come autolesionismo da parte delle persone migranti detenute per poter avere l’inidoneità alla vita nel CPR di Milano?
“Le fratture di carpo, metacarpo e avambraccio possono esse spesso conseguenza di azioni volontarie quali colpire a pugno chiuso oggetti solidi e duri o in alternativa subire dei traumi diretti contusivi. I primi sintomi sono dolore, tumefazione e nei casi più gravi vizi di rotazione delle dita, deformità delle ossa e impossibilità alla mobilizzazione del segmento interessato dal trauma.”

Quanto sono dolorosi questi traumi auto-inflitti?
“Le fratture sono sempre dolorose, con un valore della scala VAS (Visual Analogue Scale) che va da almeno 5 a 10 che è il massimo.”

Possono esserci delle conseguenze a lungo termine?
“Purtroppo dopo una frattura, per quanto possa essere trattata nell’immediato (trattamento conservativo o chirurgico), non è possibile garantire sempre una restitutio ad integrum, ovvero di ripristino della condizione anatomica e funzionale pre-trauma, con la possibilità della persistenza di sequele quali vizi di rotazione, malformazioni, deviazioni di asse, non guarigione di una frattura, persistenza del dolore o perdita di forza. Nelle fratture scomposte dell’estremità dell’arto superiore spesso bisogna ricorrere a un intervento chirurgico e a una lunga riabilitazione.”

Il fatto che le persone detenute nei CPR decidano di procurarsi questo tipo di traumi pur di poter lasciare Centro, che riflessione ti suscita?
“Andare incontro a tali conseguenze in seguito a gesti autolesivi sottende verosimilmente una sofferenza maggiore di quella fi sica, mi auspico che sia possibile migliorare tali condizioni in modo tale da evitare il perpetrarsi di questi gesti anticonservativi.”

Purtroppo quello che le evidenze e le esperienze di tante persone migranti detenute ci stanno confermando è che tali condizioni non migliorano agendo sulla struttura del CPR, neanche attraverso un commissariamento giudiziario.

La patogenicità è insita nel dispositivo stesso della detenzione amministrativa, una pratica che sempre più si sta dimostrando psicogena e latrice di disperazione, causa indiretta di gesti che scrivono sul corpo, sul “loro corpo”, i gradi più alti di dolore. I CPR vanno chiusi.

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