Elezioni regionali in Basilicata, la destra a nervi tesi cerca il bis

RMAG news

In Basilicata hanno il diritto al voto poco più di 560mila persone. Test importante ma limitato. E tuttavia non è solo perché in Italia ogni test elettorale acquista sempre valenza nazionale se l’attenzione è fissa sul voto di domenica e lunedì in Lucania.

Per il Campo Largo la prova è importante e difficile. Certo, quando si parte dall’opposizione l’eventuale sconfitta ha sempre peso minore ma le quotazioni del governatore uscente Vito Bardi erano date un paio di mesi fa in picchiata, soprattutto per lo stato drammatico della Sanità.

La conquista della Regione, con tutto il valore simbolico e morale che ciò comporterebbe, pareva del tutto a portata di mano. Le previsioni, per quel che valgono, si sono rovesciate per la decisione di Conte di puntare i piedi sulla candidatura anche a costo di arrivare alla rottura con Marcello Pittella, e in Lucania la famiglia Pittella è qualcosa in più che semplicemente potente.

Ieri pomeriggio sul palco di Potenza c’erano tutti i leader del centrodestra ma per così dire “sotto il palco”, cioè in coalizione con la destra, c’erano anche l’Azione di Calenda (e in Basilicata soprattutto di Pittella) e la Italia Viva di Renzi.

Una sconfitta del Campo non sarebbe un terremoto ma certo lederebbe la tattica di Conte, che mira a dimostrare che il centrodestra può essere battuto solo quando i suoi 5S entrano nella coalizione e pertanto che nella scelta dei candidati bisogna accettare le sue condizioni.

Nel comizio finale la premier, probabilmente avendo in mente il disastroso risultato del comizio finale molto “strillato” in Sardegna si è trincerata dietro un burocratico elenco dei risultati ottenuti dal suo governo, di nuovo mettendo da parte lo specifico della Regione in cui si vota, ed è un errore nel quale incorre puntualmente.

Non lo ha commesso né Salvini, che magnificando il proprio ruolo come ministro dei Trasporti ha promesso 3 mld per le strade e 6 per le ferrovie, scusate se è poco, e non lo ha commesso un Tajani in piena forma che ha cercato sempre di rivolgersi all’elettorato chiamato al voto pur esaltando la serietà e l’affidabilità della coalizione, “che non tira a rubarsi vicendevolmente voti” ma a richiamare l’elettorato astensionista.

E’ la carta migliore della destra: riuscire ad apparire unita anche quando la tensione è alle stelle come capita proprio in queste ore tra Lega e Fi. In Veneto la rottura è clamorosa, con gli azzurri cacciati da Zaia dalla giunta regionale.

La sfida per chi si aggiudicherà il titolo di secondo partito della coalizione è spietata. Eppure sul palco il terzetto, con coro dei vari Lupi e Cesa, riesce a resituire un’immagine unitaria a differenza degli avversari che, pur essendo uniti quasi ovunque, finiscono per far risaltare molto più le divisioni, come in Puglia o in Piemonte.

La corta distanza tra l’election day del 9 giugno, europee più regionali in Piemonte e comunali in 29 comuni capoluogo, rende la prova di domani e lunedì quasi lo sparo d’inizio per quella gara. Una vittoria, difficile ma non impossibile, permetterebbe al centrosinistra di far leva sul motivo del “vento cambiato”, cantato a voce spiegato dopo la vittoria in Sardegna, attenuatosi di molti decibel dopo la sconfitta in Abruzzo.

Domenica il Pd definirà le sue liste per le europee, e date le notevoli tensioni interne sarà uno snodo decisivo. Ma proprio le candidature sono diventate all’ultimo momento motivo di preoccupazione martellante al Nazareno.

Non quelle proprie però: quelle degli alleati di Avs. La candidatura di Ilaria Salis nel nord-ovest è minacciosa: per salvarla dalle carceri di Orbàn molti potrebbero dirottare il voto dal Pd alla lista di Fratoianni e Bonelli.

Ma, essendo il quorum del 4% molto incerto, la carta Salis potrebbe spingere una parte dell’elettorato di sinistra verso un “voto utile” per salvare la prigioniera di Orbàn anche nelle altre circoscrizioni. Senza contare che il nome dell’anarchica in carcere pesca in buona misura nello stesso elettorato della capolista Pd nel nord-ovest, che sarà certamente Cecilia Strada.

Non c’è solo la Salis, però. Le candidature di Ignazio Marino e Massimiliano Smeriglio al centro sono forti non solo come voto d’opinione ma anche come capacità di veicolare consensi più strutturati. I nomi di Leoluca Orlando e Mimmo Lucano sono a loro volta di sicuro richiamo.

Insomma, la competizione interna al Campo Largo è per il Pd ormai doppia, con i 5S ma anche con Avs e lo spettro è non raggiungere la quota simbolica del 20%. Simbolica, certo, ma non secondaria. Superare o meno quella soglia vorrà dire per Elly Schlein, dal 10 giugno in poi, muoversi su scenari completamente diversi.

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