Erminio Diodato, l’imprenditore sbattuto 5 mesi in carcere da innocente: “Risarcito con 60mila euro ma ho perso tutto”

RMAG news

Ha trascorso sette mesi in detenzione, cinque in carcere e due agli arresti domiciliari: lui però era innocente e nel frattempo ha perso la sua azienda costruita in anni di fatica.

È la storia di “ordinaria malagiustizia” che vede protagonista Erminio Diodato, imprenditore di Vergiate (Varese), arrestato ingiustamente nel luglio 2020 e assolto nel giugno dell’anno successivo.

Ingiusta detenzione che lo Stato gli ha risarcito con 60mila euro, come deciso dalla Corte d’Appello di Milano dopo il ricorso presentato dal suo avvocato Daniele Galati.

Le accuse ingiuste contro Diodato

L’accusa per Diodato era di detenzione di droga ai fini di spaccio. Tutto nasce da una telefonata anonima alla polizia che porta ad un blitz in un deposito in uso all’azienda di Diodato: lì gli agenti trovano due chili di cocaina e una pressa che, secondo gli inquirenti, sarebbe servita per confezionare i panetti di stupefacente.

Per l’imprenditore scatta l’arresto, così come per un albanese di 43 anni che confessa di essere il solo responsabile per la droga, scagionando Diodato che è comunque rimasto in carcere.

Già dopo i primi 10 giorni dall’arresto c’erano elementi tali da far cadere la custodia cautelare in carcere – spiega il legale – Anche le impronte dattiloscopiche trovate sui panetti di stupefacente hanno rivelato che Diodato non li aveva mai toccati: c’erano solo le impronte dell’altro arrestato”.

Il risarcimento per il carcere

Assolto nel giugno del 2021, ora è arrivato il risarcimento per i 145 giorni di ingiusta detenzione. Quei 60mila euro non sono quelli richiesti “ma almeno abbastanza per ricominciare, visto che il mio assistito ci ha rimesso un’attività da 240 mila euro all’anno. La richiesta risarcitoria era intorno al mezzo milione”, spiega l’avvocato Galati.

Ho perso tutto ciò per cui ho lavorato una vita – spiega Diodato – . Quella mattina quando sono stato chiamato non ho nemmeno voluto contattare l’avvocato: sapevo di non aver fatto nulla di male. E’ stato tutto doloroso e surreale, come se parlassero di un’altra persona“.

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