I Cpr sono fuorilegge e vanno chiusi, ecco perché

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Pubblichiamo un estratto del libro No Cpr, Non ci potete rinchiudere. La vergogna italiana dei lager per immigrati, a cura di Yasmine Accardo e Stefano Galieni (autori vari) ed. Left.

L’attuale Cpr di Roma, a Ponte Galeria, esiste dal 1998 e ha avuto vari nomi. All’inizio era in grado di contenere 300 persone, 188 uomini e 112 donne. Era diviso in due sezioni situate ai lati opposti, da cui si innalzavano alte sbarre, rese dopo le prime sommosse, più alte (oggi sono alte oltre 10 metri), ricurve e coperte dal plexiglass per impedire le fughe mentre due corridoi separano ancora le camerate con cortili in cemento.

In alcuni periodi ai reclusi è permesso uscire dai cortili delle camerate e aggirarsi nella sezione, la sera però tutto viene chiuso. Già nei primi mesi emersero problemi nella gestione. La sezione femminile, suddivisa in 14 stanze, con 4, 6 o 8 letti in cui si ritrovavano ragazze prese in strada, costrette alla prostituzione ma prive di documenti di soggiorno insieme a collaboratrici familiari, apolidi, donne fermate durante le frequenti retate nei quartieri, soprattutto romani, raramente era fonte di tensione.

In quella maschile, con una simile disposizione ma con 39 “stanze”, in cui si ritrovavano ex detenuti non identificati in carcere e che scontavano lì una sorta di supplemento di pena, persone con problemi di tossicodipendenza insieme a richiedenti asilo, lavoratori in nero o con documenti scaduti, i problemi furono invece sin dall’inizio frequenti ed era frequente che le forze dell’ordine intervenissero con forza.

A Ponte Galeria le eventuali comunicazione con i parenti avvengono attraverso vetri divisori, lì dentro si vedono quasi soltanto avvocati d’ufficio chiamati a garantire la velocità delle espulsioni durante le udienze di convalida con la frase «mi rimetto alle disposizioni dell’autorità giudiziaria».

Durante le ispezioni effettuate grazie a parlamentari o consiglieri regionali, a volte veniva sconsigliato, se non impedito, l’ingresso nella sezione maschile, perché ritenuta pericolosa per l’incolumità dei visitatori.

In realtà, spesso queste ispezioni hanno consentito di raccogliere casi emblematici di persone che non dovevano essere recluse neanche secondo le norme vigenti, di limitare i casi di autolesionismo o di tentativi di suicidio, di garantire migliore assistenza legale e psicologica a chi ne aveva bisogno.

Il primo a morire in un Cpta fu Mohamed Ben Said, che morì nel centro di Ponte Galeria per cause mai accertate la notte di Natale del 1999. Purtroppo non è stato che il primo di una serie. Funzionò, nel periodo di gestione della Croce Rossa una quasi decente assistenza sanitaria, anche se raramente si accettava il trasferimento di trattenuti in ospedali esterni.

Numerosi i casi di Tbc, di micosi e dermatiti varie, ma soprattutto era forte il disagio psichico. La presenza sin dall’inizio di uno psicologo almeno quattro volte alla settimana affrontò tali problemi tramite l’uso costante di benzodiazepine non considerate dai medici come psicofarmaci e quindi erogate con approssimazione.

Questo causava forme di dipendenza dai farmaci, instabilità, tensioni interne che spesso sfociavano anche in risse. C’era chi non voleva chiedere “le gocce” come dicevano negli incontri e poi molto spesso, finiva col compiere atti di autolesionismo, tentativi di suicidio purtroppo a volte riusciti, fughe che spesso terminavano poche centinaia di metri dopo la struttura.

Già nelle ispezioni effettuate fra il 2004 e il 2006 emergevano profonde discrasie fra quanto raccontato dal personale, di polizia o della Cri e dai trattenuti. Per i primi tutti i servizi erogati erano soddisfacenti e di qualità, i secondi denunciavano che ai più agitati o a chi tentava la fuga venivano dati sedativi, mentre a chi era in condizione di tossicodipendenza e quindi aveva bisogno di assistenza presso un Sert veniva invece fornito metadone nel centro.

In numerosi denunciavano lesioni o percosse; durante una visita effettuata nel 2006, venne trovata una donna in stato di gravidanza. Il 5 luglio 2005 si costituì un Forum cittadino per chiedere la chiusura del centro, vi aderirono numerose forze politiche e di movimento, nel 2007, terminato il lavoro della commissione De Mistura, su Liberazione il 24 giugno si parlò espressamente, riferendosi a questo e ad altri luoghi simili, di “banalità del male”.

Nel 2008 la situazione peggiorò: accanto agli agenti preposti alla vigilanza, si aggiunsero i paracadutisti della Folgore, alcuni impiegati nelle missioni militari all’estero, tutti con alta preparazione militare, come se il centro fosse divenuto un obiettivo sensibile.

La situazione si aggravò ancora di più nel 2009 con la trasformazione in Cie e l’aumento dei tempi di trattenimento. La notte el 7 maggio si impiccò la cittadina tunisina Nabruka Mimuni, 49 anni di cui 30 vissuti in Italia che aveva saputo che l’attendeva il rimpatrio.

Due mesi prima era deceduto, in circostanze mai chiarite Salah Soudani, altra storia dimenticata e archiviata. La morte di Nabruka portò a numerose mobilitazioni e rivolte interne. Nel frattempo il centro era stato ampliato, una nuova struttura garantiva altri 64 posti in gabbia.

A fine 2010 l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni impose il divieto di accesso nei Cie ai giornalisti. Con la caduta del governo Berlusconi, la nuova ministra dell’Interno Cancellieri dispose rapidamente la sospensione della circolare che vietava l’ingresso nei centri.

Una sospensione nei fatti rimasta fino al 2019 solo sulla carta, legata alle volontà dei prefetti, agli ordini impartiti dal Viminale, alle magagne da celare. A volte i reclusi si limitano allo sciopero della fame, altre volte decidono la pratica crudele di cucirsi la bocca.

Nel 2014 l’Auxilium, struttura privata, perde la gara d’appalto per il rinnovo della concessione della gestione del centro. Subentra la francese Gepsa affiancata dalla Associazione culturale Acuarinto (di Agrigento) e dalla cooperativa romana Synergasia, specializzata in interpretariato e mediazione linguistica. Diminuiscono ancora di più i servizi garantiti e aumentano le sommosse al punto che nel 2015 la sezione maschile, per l’ennesima volta devastata, viene chiusa.

Riaprirà solo nel luglio 2019. Trasformato infine in Centro di permanenza per il rimpatrio, il Cpr ha ripreso a funzionare quasi a pieno ritmo. All’interno ora operano le associazioni Be Free e a Buon Diritto. Il Cpr di Ponte Galeria è gestito attualmente da Ors Italia, che gestisce anche quello di Macomer.

La Ors Italia è una filiale della società svizzera Ors che già amministra centri per migranti in diversi Paesi europei e che è sbarcata in Italia nel 2018, sulla base delle nuove norme che regolano l’accoglienza e la detenzione dei migranti. La Ors è stata già al centro di polemiche sulla pessima accoglienza realizzata in un mega centro in Austria, tenuto in condizioni disumane, secondo una denuncia di Amnesty International.

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“Un lager commissariato resta pur sempre un lager”

L’apertura del Centro di Permanenza Temporanea (Cpt) di via Corelli a Milano nel 1999 fu presto seguita dalla costituzione di un movimento cittadino per la sua chiusura: il 29 gennaio 2000 un corteo delle “tute bianche” di circa 20mila persone riuscì a portare all’attenzione pubblica il tema. Nel settembre 2020 il Cpr di via Corelli aprì con 140 posti, poi ridotti agli attuali 84 (effettivi 56), con settori solo maschili.

I primi mesi videro un fitto andirivieni di giovani tunisini appena sbarcati, che dopo un primo “sequestro” di due settimane sulle navi quarantena, venivano smistati nei Cpr e rispediti al mittente nel giro di un mese, quale frutto dell’accordo Italia – Tunisia dell’agosto del 2020 e dell’auspicato modello di “Cpr a porte girevoli” della ministra in carica.

Il 2021 vide invece un’estensione dei termini effettivi di permanenza nel centro – fino a cinque o sei mesi e oltre – a causa del rifiuto da parte dei trattenuti di sottoporsi al tampone covid, così non potendo essere deportati.

Questo provocò un deterioramento generalizzato delle condizioni psicofisiche ed un massiccio incremento dell’utilizzo di psicofarmaci, che da allora iniziarono, senza prescrizione specialistica, ad essere utilizzati sotto il gestore dell’epoca (Versoprobo e Luna Scs in Rti) – come poi in tutte le gestioni successive – come “camicia di forza farmacologica” e metodo di gestione dell’ordine interno.

Risale al giugno 2021 l’accesso a sorpresa al Cpr dell’allora senatore Gregorio De Falco con una delegazione composta da attiviste che produsse la pubblicazione, del dossier “Delle pene senza delitti” nel quale venne documentata tra l’altro la “smazzoliata” delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa, nei bagni di uno dei settori del 24 maggio 2021.

Il tutto confluì in due esposti alla Procura della Repubblica, con i quali si chiedeva il sequestro del centro, senza fortuna. Nel frattempo, un’ordinanza del Trib. di Milano del marzo 2021 liberalizzava l’utilizzo dei telefoni cellulari all’interno del Cpr.

Il Naga istituiva quindi il centralino Sos CPpr, contribuendo a spalancare una finestra su via Corelli: informazioni, immagini e video. L’anno successivo, un altro accesso con la stessa delegazione dimostrò che anche sotto il gestore Engel Italia S.r.l. – da poche settimane “tramutatosi” in Martinina S.r.l. – nulla era cambiato rispetto all’anno precedente.

Dopo che, con il decreto Meloni-Piantedosi (oltraggiosamente chiamato “Cutro” usurpando il nome del luogo di una strage di Stato di mare) e vari provvedimenti derivati, era stata riesumato il raddoppio dei Cpr ed era stato portato a 18 mesi il termine massimo di detenzione, e dopo gli accordi per l’apertura in Albania di nuovi centri italiani, nell’anno 2023, la Rete, insieme al Naga, pubblicava “Al di là di quella porta – Un anno di osservazione dal buco della serratura del Cpr di Milano” che il 25 ottobre presentò i risultati di un anno di centralino, di ricorsi per ottenere le cartelle cliniche attestanti gli abusi sul diritto alla salute, e soprusi di vario tipo.

Il dossier attirò l’attenzione anche della Procura di Milano, che il 1° dicembre 2023, sulla base di quanto riportato nei tre dossier citati e dei video pubblicati dalla Rete, dispose un’ispezione della Guardia di Finanza che condusse al sequestro della società Martinina S.r.l. e al commissariamento del centro, oggi ancora in atto. Tutto lì dentro continua come prima.

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