Il “processo Iuventa” non si farà, prosciolto l’equipaggio della Ong: “il fatto non sussiste” dopo 7 anni di accuse

RMAG news

Il “processo Iuventa” non si farà perché il fatto non sussiste. Dopo sette anni, 40 udienze e un processo costato quasi tre milioni di euro allo stato italiano, il gup di Trapani Samule Corso ha emesso oggi sentenza di non luogo a procedere per 4 membri dell’equipaggio e altri 17 indagati (membri delle Ong Medici senza frontiere e Save the Children) nel caso della nave Iuventa della Ong tedesca Jugend Rettet, che rispondevano di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Nel procedimento era costituito parte civile il ministero dell’Interno che si è rimesso alla decisione del gup.

Il sequestro della nave Iuventa e le accuse all’equipaggio

D’altra parte era stata la stessa Procura di Trapani, che pure aveva istruito il caso, a chiedere il 28 febbraio scorso il “non luogo a procedere” nei confronti degli indagati perché “il fatto non sussiste reato”, col dissequestro della nave rimasta nel frattempo abbandonata nel porto di Trapani e ormai inutilizzabile.

L’accusa nei confronti dell’equipaggio della Ong tedesca era quella di essersi accordati con i trafficanti in Libia per imbarcare migranti e “condurre in Italia sempre più persone in modo da mantenere la visibilità mediatica e ricevere più donazioni”. Le organizzazioni umanitarie erano accusate dai pm di Trapani di non aver prestato in realtà soccorso ai profughi ma di aver fatto loro da “taxi, trasbordandoli dalle navi libiche alle quali poi avrebbero permesso di tornare indietro indisturbate.

A sostegno di questa tesi la polizia pubblicò video e audio che avrebbero dovuto documentare la collaborazione con gli scafisti e violazioni del diritto del mare, con tre imbarcazioni restituite ai trafficanti nella giornata del 26 giugno 2017 e un dialogo con i trafficanti che poi si sarebbero allontanati a bordo della propria imbarcazione rivolgendo un gesto di saluto verso la nave. Tesi questa negata dalla Ong tedesca e smontata da una inchiesta della Forensic Architecture dell’Università di Londra.

La “rivincita” delle Ong

Gioia ma anche tanta amarezza traspare dalle Ong coinvolte nell’inchiesta dopo lo stop al processo. “La formula assolutoria dice che non c’era niente, mancava la condotta materiale“, spiega all’Ansa l’avvocato Alessandro Gamberini, legale della ong Jugen Rettet. “I fatti materiali non sono stati dimostrati e non erano dimostrabili come noi abbiamo sostenuto con richieste di archiviazione alla Procura. Questo processo è una delle origini del male, della diffamazione delle ong chiamate spesso a essere complici dei trafficanti“, ha aggiunto. “Si chiude un’epoca – ha proseguito – anche se non credo che il nostro ministro Salvini si fermerà“.

Dopo sette anni di false accuse, slogan infamanti e una plateale campagna di criminalizzazione delle organizzazioni impegnate nel soccorso in mare, cade la maxi-inchiesta avviata dalla procura di Trapani nell’autunno del 2016, la prima della triste epoca di propaganda che ha trasformato i soccorritori in ‘taxi del mare’ e ‘amici dei trafficanti’”, scrive in una nota Medici senza frontiere.

Un mastodontico impianto accusatorio – aggiunge Msf – basato su illazioni, intercettazioni, testimonianze fallaci e un’interpretazione volutamente distorta dei meccanismi del soccorso per presentarli come atti criminali“.

Crolla il castello di accuse infondate che per oltre sette anni hanno deliberatamente infangato il lavoro e la credibilità delle navi umanitarie per allontanarle dal Mediterraneo e fermare la loro azione di soccorso e denuncia – dice Christos Christou, presidente internazionale di Msf -. Ma gli attacchi alla solidarietà continuano attraverso uno stillicidio di altre azioni: decreti restrittivi, detenzione delle navi civili, supporto alla guardia costiera libica che ostacola pericolosamente i soccorsi e alimenta sofferenze e violazioni, mentre le morti in mare continuano ad aumentare“.

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