Intervista a Edith Bruck: “Il 25 aprile dovrebbe durare tutto l’anno”

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La nostra conversazione si conclude come è iniziata: “Buon 25 Aprile. E che lo sia ogni giorno dell’anno. Perché l’antifascismo non è come un prodotto in scadenza. Vale sempre, per sempre”. Una lezione di vita, di storia, di cultura. Semplicemente emozionante.

Per lo spessore umano e intellettuale, grandiosi, della persona che parla ai lettori de l’Unità: Edit Bruck. Di origine ungherese, Edith Bruck è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen.

Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nei suoi libri ha reso testimonianza dell’evento nero del XX secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Numerosissime le sue opere pubblicate in Italia, l’ultima è I frutti della memoria. La mia testimonianza nelle scuole (con Eugenio Murrali, La Nave di Teseo 2024).

Signora Bruck, pensando alla sua straordinaria esperienza di vita, cosa ha rappresentato il 25 Aprile 1945 e cosa continua a significare?
Quello che dovrebbe significare per tutti, non soltanto per me. Per tutti gli italiani, per tutta l’Europa. Io sono stata liberata il 15 Aprile a Bergen-Belsen. E oggi mi viene in mente che è il 25 Aprile con la caduta del regime fascista che fu complice attivo, partecipe, di quella storia tragica consumatasi nei lager dove ho visto morire la mia famiglia e tante altre persone.
Dovrebbe significare molto ma forse, purtroppo, significa molto meno di quello che immaginavamo, che speravamo. L’Europa ha poca memoria. L’uomo ha poca memoria e ricomincia da capo. Dovrebbe essere ogni giorno il 25 Aprile.

Un grande della storia, sopravvissuto ad Auschwitz, Elie Wiesel, premio Nobel, ebbe a dire che senza memoria non c’è futuro.
Senza memoria non c’è neanche vita. Non soltanto futuro. Io lavoro per la memoria da 64 anni.

Il suo ultimo, bellissimo libro, s’intitola I frutti della memoria. La mia testimonianza nelle scuole.
È importante rendersi conto, scoprire quante cose i ragazzi capiscono, il loro desiderio, direi il bisogno di conoscere, capire. Una delle pagine più belle di quel libro è quella, finale, con il disegno dei ragazzi. Qualcosa arriva, non è mai inutile quello che si fa. È tutto utile. Bisogna fare. Bisogna dire e poi ridire. Anche perché l’umanità non sembra capire niente.

L’Italia di oggi come la vede?
La vedo male, messa proprio male. Così come vedo male l’Europa e il mondo. Ma questo non significa arrendersi, semmai il contrario. Continuare a battersi, a testimoniare, perché le cose cambino. Essere testimoni di giustizia, di dialogo, di umanità è l’unico modo per non diventare complici. Quel poco di bene che ancora esiste va coltivato, con amore, determinazione, giorno per giorno. Perché non è mai tutto nero.

Una cosa che caratterizza società realmente democratiche è la libertà di espressione, di pensiero. Da questo punto di vista, che idea si è fatta della “vicenda Scurati”?
Una cosa orribile. Povero Scurati. Una cosa folle. Folle ma non isolata. Le dico una cosa: proprio ieri (mercoledì per chi legge, ndr), ho fatto un’intervista per Rai uno. Non è arrivato neanche un terzo di quello che ho detto. È davvero molto difficile oggi parlare, esprimersi, con il montaggio tagliano tutto quello che non gli va. E i giornali lo stesso, non è che fa molta differenza. Quello che appare scomodo, o non in linea, zac, viene tagliato. Così è molto difficile, quasi inutile, parlare. Il cuore della questione non arriva.
Mi chiedo come faccia a festeggiare questo governo il 25 Aprile. Cosa festeggia?

Il mondo è stato governato per tanti anni dalla destra, una destra moderata, anche Winston Churchill ne era espressione…
Una destra moderata in Italia c’era ai tempi della Democrazia cristiana, che dialogava con i socialisti e i comunisti. Oggi è un’altra storia. Una brutta storia.

Signora Bruck, perché oggi per chi governa l’Italia è così difficile, pressoché impossibile, pronunciare la parola antifascismo?
È proibito. Sembra una bestemmia.

Vuol dire che non si vuole fare i conti fino in fondo con la propria storia?
Non l’hanno mai fatto. Vale per l’Italia ma anche per l’Europa che non ha fatto i conti con il proprio passato. In una certa misura, minima, l’ha fatto la Germania, nessun altro paese. Certo non l’ha fatto l’Italia.

Che, per consolarsi e autoassolversi, è rimasta a “italiani, brava gente”.
Brava gente quelli che vendevano gli ebrei ai nazisti perché li deportassero? Quelli che hanno chinato il capo, e molti plaudito, alle leggi razziali? Non si è voluto fare i conti fino in fondo con il fascismo, così come con l’antisemitismo, tutti questi “ismi” sono rimasi lì e sbucano fuori alla prima occasione.

Una delle pagine più tragiche della storia di quegli anni, per l’Italia, è stato il massacro delle Fosse Ardeatine. Perché chi governa oggi l’Italia definisce, condannandola, quella strage come una strage nazista, dimenticando le responsabilità dei fascisti?
Ma cosa ci si vuole aspettare da chi definì le SS uccise a Via Rasella una banda di musicisti in pensione! La follia pura.
La prima cosa che ho visto, quando arrivai in Italia nel 1954, furono le Fosse Ardeatine. Avevo un amico e per convincermi che lui non era stato un fascista mi portò alle Fosse Ardeatine e mi fece vedere la tomba del padre, con la sua foto, trucidato lì. Per assicurarmi che non era un fascista, perché avevo paura che lo fosse stato.

La cultura sta dando una mano oggi per salvaguardare questa memoria storica?
No. Non mi sembra. Certo c’è Scurati, Erri De Luca, qualcosa fanno, qualcosa facciamo, a parte i testimoni della Shoah come me. Io testimonio da 64 anni, ho scritto una valanga di libri. E vado ancora avanti, nonostante l’età e gli acciacchi, perché non basta mai. Perché è molto importante soprattutto per i giovani. In questo senso, mi ritengo una persona fortunata perché sono stata ripagata dai giovani, e continuo ad esserlo.

Qual è la cosa che in tutti questi anni, nel rapporto che Lei ha avuto con migliaia di giovani di generazioni diverse, si è sentita più chiedere?
Se io perdono, se credo in Dio, se odio. Perdonare non posso farlo. Se perdono, però, vuol dire non odiare, allora posso dire di sì. Perché io non so cosa sia l’odio. Non ho mai odiato nessuno. Neanche i peggiori nazisti. Mi facevano pena. Come dire non sanno quello che fanno. Anche i giovani della Hitler-Jugend, la Gioventù hitleriana, quando ci guardavano e raccoglievano la saliva per sputarci addosso nella disinfestazione. Eravamo nude, ci sputavano nelle parti intime, io mi sono detta ciò che avrebbe detto la mia povera madre, poveracci non sanno quello che stanno facendo, nel senso che sono stati disumanizzati dalla scuola nazista. Disumanizzati loro, non io. Veramente non so cosa sia l’odio. Non voglio mettere dentro il nome di Dio. Ringrazio di essere totalmente priva di odio. Pena, quella sì. Per quelle persone che ridevano mentre ci sputavano addosso, persone disumanizzate, prive di sentimenti umani. Parlo di umanità, non di religione. La religione ha fatto tanti disastri nel mondo.

Ancora oggi si combatte e si muore in nome della fede religiosa.
Si usa Dio soltanto per uccidere. Dio, Allah…Il nome di Dio usato per uccidere. Se questa è fede, io non so cosa sia la fede.

Una persona che Lei conosce molto bene, Papa Francesco, per aver usata la metafora della bandiera bianca, è stato bersagliato di critiche.
Lui è stato bersagliato per diverse cose, per aperture coraggiose, non solo sulla pace ma anche quando ha detto che benedirebbe anche le coppie omosessuali. Credo che viva tutto questo molto male. Cerca di dire cose che alla curia non piacciono. Alla curia e anche all’esterno.
Il popolo in generale applaude perché il Papa è sempre il Papa. Il popolo va sempre dietro al potere. Non sa cosa applaude ma lo fa. Forse si sente più protetto, più sicuro. La sua identità si rafforza se si identifica con qualcuno, con un Capo, anche la persona peggiore del mondo. Ha applaudito Mussolini, ha applaudito Hitler…

Investire sul futuro, sui giovani. In base alla straordinaria esperienza che continua ad accompagnare la sua vita, c’è un germe di speranza in loro?
È difficile e sbagliato generalizzare. La mia esperienza personale è senz’altro positiva. Di questo posso testimoniare. Ho parlato con migliaia di giovani. Dalle loro lettere, dalle loro risposte, posso dire che qualcosa è arrivato. Molti hanno pianto con me. Negli ultimi vent’anni ho pianto io e hanno pianto loro. Anche in questo periodo, che per ragioni di salute non posso recarmi nelle scuole, mi scrivono tantissime lettere, in continuazione. Io spero. Spero che se anche fossero cambiati in dieci o venti, ho fatto il mio dovere morale.
La scuola dovrebbe fare qualcosa. Ma fa pochissimo e male. La scuola insegna troppo poco del passato, perché il passato va rimosso, va negato, va mistificato. E la famiglia pure. Non c’è un rapporto tra i giovani e i genitori. Per non parlare dei vecchi, che non contano nulla, che non vengono ascoltati. Che strazio, parlano i nonni. Neanche la comunicazione parla dei vecchi. Perché non ce ne occupiamo? L’ho suggerito a un mio amico giornalista e mi ha detto che lo farà, li intervisterà anche nei luoghi orribili che sono certi ricoveri. Vogliamo buttare i vecchi come fossero immondizia? È una società disumana quella in cui i vecchi vengono esclusi, mortificati, trattati come spazzatura vivente.
Sono stata un po’ dura, lo so, ma è quello che mi viene dal cuore. Voglio però concludere con gioia e speranza: Evviva il 25 Aprile. Dovrebbe durare tutto l’anno.

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