LA BUONA BUROCRAZIA SALVA L’ITALIA

LA BUONA BUROCRAZIA SALVA L’ITALIA

Il Quotidiano del Sud
LA BUONA BUROCRAZIA SALVA L’ITALIA

Questa è la sfida che devono affrontare e vincere chi guida la politica e chi ha il timone della rappresentanza del mondo delle imprese con la seconda manifattura europea che fa meglio della prima. Il nuovo presidente designato degli industriali Orsini ha avuto un numero elevato di consensi e avrà il suo primo esame sul terreno nefasto delle burocrazie italiane e europee per tutelare e fare crescere la nostra manifattura con una politica industriale all’altezza delle questioni planetarie della transizione ambientale non ideologica e di quella digitale. Bisognerà guidare Confindustria fuori dal corporativismo malato in modo netto e riconoscibile.

CONOSCETE la storia dell’Inps? Conoscete la storia delle Poste? E quella della Sogei o delle Ferrovie dello Stato? Se conoscete queste storie anche un po’ superficialmente, saprete che hanno qualcosa che le accomuna: dimostrano tutte che la pubblica amministrazione può cambiare. Ha dimostrato di essere capace di cambiare. È riuscita a cambiare.

La differenza tra prima e dopo la hanno fatta capi azienda o direttori generali di qualità, donne e uomini che hanno studiato il loro prodotto, che hanno valutato i mercati e deciso quale prodotto offrire, ma che ancora prima si sono posti il problema e lo hanno risolto di quale organizzazione servisse alle loro aziende, hanno compiuto i passi giusti e hanno creato uno spirito nuovo. Hanno motivato le loro “truppe”, hanno dato a tutti l’obiettivo strategico e gli obiettivi intermedi, hanno riunito i quadri dirigenti e le responsabilità individuali sono entrate dentro una responsabilità collettiva che promuove chi le esercita.

Questo significa fare gioco di squadra e, generalmente, questo significa anche ottenere risultati. Questa è la grande sfida che su tavoli diversi, ma dialogando tra di loro senza diplomazie e riguardi fuori luogo, devono affrontare e vincere chi guida la politica e chi ha il timone della rappresentanza del mondo delle imprese che esprime oggi la seconda manifattura europea che sta facendo nettamente meglio della prima. Ci eravamo permessi di titolare circa due mesi fa che noi Paesi Pigs, termine spregiativo che in inglese significa “maiali” con cui venivano indicati Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, eravamo diventati tori e che la locomotiva dell’Europa di oggi siamo noi, non più i cosiddetti Paesi frugali. Ora che lo ha scritto il Financial Times il modesto dibattito della pubblica opinione italiana ne riferisce come dato di cronaca manifestando la solita sorpresa che nasconde la solita ignoranza di fatti, soprattutto economici.

Oggi tutto è atomizzato, spersonalizzato o peggio ridotto a bega politica sistemica, e gli stessi vizi a volte in misura ancora più marcata si sono riprodotti all’interno delle associazioni di rappresentanza delle imprese a partire da Confindustria. È certo che il governo Meloni preserverà il miracolo economico italiano e passerà alla storia se riuscirà ad attuare un disegno di conservatorismo moderno cambiando la nostra burocrazia facendo finalmente gioco di squadra, l’esempio del modello Fitto per i fondi europei va nella direzione giusta. È altrettanto certo che proprio sulla capacità di fare gioco di squadra ed incidere significativamente su semplificazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione il nuovo presidente degli industriali italiani, Emanuele Orsini, avrà il suo decisivo banco di prova. È stato designato ieri a succedere a Carlo Bonomi, riscuote apprezzamento come imprenditore e per il suo lavoro associativo. Avrà proprio sul terreno del cambiamento della burocrazia il suo primo, cruciale, banco di prova. Non ha passati da figurante dove tutte le ipocrisie si riuniscono e si manifestano al cubo distruggendo la reputazione dell’istituzione e delle persone che vi prestano la loro opera e sa, dunque, molto bene che l’indipendenza di Confindustria dalla politica e da ogni tipo di potere che è coagulo di corporativismo malato va recuperata in modo netto e riconoscibile. Perché senza questo patrimonio di valori, tradito da un bel po’, si ammaina la bandiera della credibilità depotenziando in partenza ogni sacrosanta battaglia per il merito.

È l’interesse comune che deve vincere dentro e fuori la casa degli industriali. Orsini ha avuto un numero elevato di consensi, ha personalità e esperienza per tagliare in modo deciso con questo passato. Dovrà dimostrarlo sul terreno del giogo nefasto delle burocrazie italiane e europee superando il suo primo grande esame per tutelare e fare crescere ancora la manifattura italiana. Per contribuire a ridare al Paese intero una politica industriale all’altezza della sua storia e in grado di misurarsi in modo sempre più competitivo con le questioni planetarie della transizione ambientale non ideologica e di quella digitale, ma anche con i grandi nodi irrisolti della democrazia e di un contesto geopolitico globale che ha capovolto il mondo candidando il nostro Mezzogiorno a diventare il nuovo hub energetico del Mediterraneo per l’Europa e il data center del vecchio continente europeo che attrae grandi capitali e investimenti internazionali.

Sono sfide pesanti al punto da fare tremare vene e polsi, ma si possono vincere a patto che camerille e cointeressenze tanto opache quanto dannose vengano bandite senza se e senza ma.

Il Quotidiano del Sud.
LA BUONA BUROCRAZIA SALVA L’ITALIA

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