Netanyahu braccato: 100mila in piazza contro la folle guerra di Bibi, per la liberazione degli ostaggi e nuove elezioni

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La piazza si ribella a “re Bibi”. E invoca, pretende, oltre la liberazione degli ostaggi ancora in cattività a Gaza, una liberazione politica: nuove elezioni. Decine di migliaia di israeliani, centomila per gli organizzatori, hanno affollato domenica sera il centro di Gerusalemme nella più grande protesta antigovernativa da quando il Paese è entrato in guerra lo scorso 7 ottobre.

I manifestanti hanno esortato il governo a raggiungere un accordo per il cessate il fuoco per liberare decine di ostaggi tenuti a Gaza dai militanti di Hamas e a indire elezioni anticipate. I manifestanti incolpano Netanyahu per i fallimenti del 7 ottobre e affermano che le profonde divisioni politiche sul suo tentativo di revisione giudiziaria dello scorso anno hanno indebolito Israele prima dell’attacco.

La folla si è estesa per isolati attorno alla Knesset, il palazzo del parlamento, e gli organizzatori hanno promesso di continuare la manifestazione per diversi giorni. Hanno esortato il governo a tenere nuove elezioni quasi due anni prima del previsto. Migliaia di persone hanno manifestato anche a Tel Aviv.

La lentezza dei negoziati, i frequenti ritardi di Netanyahu e, soprattutto, la sua continua incapacità di mostrare anche solo un minimo di empatia per la sofferenza degli ostaggi hanno fatto pendere la bilancia dalla parte di molte famiglie dei prigionieri.

Einav Zangauker, il cui figlio Matan è un ostaggio, ha espresso bene questo concetto durante la manifestazione di sabato sera. “Dopo 176 giorni, abbiamo capito che l’ostacolo sei tu”, ha scandito, rivolto a Netanyahu, tra gli applausi della folla. Ha poi promesso di lavorare per la sua cacciata.

Più di cento tende sono state montate di fronte al Parlamento a Gerusalemme nel quadro di una azione di protesta di quattro giorni contro il governo di Benjamin Netanyahu e le operazioni nella guerra di Gaza. Decine di migliaia di persone hanno partecipato alla protesta ieri, per il secondo giorno consecutivo.

A spaccare la società israeliana è anche la coscrizione degli ultraortodossi. Ieri è scaduto il termine imposto dalla Corte Suprema israeliana per porre fine all’esenzione dalla coscrizione militare per gli ultraortodossi, una questione che divide la società israeliana e spacca la coalizione tra partiti religiosi e i partiti laici di destra, che vorrebbero una coscrizione condivisa più equamente tra gli ebrei israeliani.

Il servizio militare è obbligatorio in Israele, ma gli ultraortodossi possono evitare la coscrizione se dedicano il loro tempo allo studio dei testi sacri dell’ebraismo. L’esenzione fu decisa da Ben-Gurion all’atto della creazione dello Stato di Israele nel 1948, inizialmente per 400 giovani, ma oggi riguarda 66.000 uomini tra i 18 e i 26 anni.

La legge che la permetteva è stata invalidata nel 2012 dalla Corte Suprema che ha chiesto una riforma, ma i governi e i partiti ultraortodossi che si sono succeduti hanno sempre concluso accordi provvisori, senza mai riuscire a trovare una soluzione.

L’Alta Corte aveva concesso al governo tempo fino al 27 marzo per presentare una proposta, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu ha inviato una lettera il giorno successivo chiedendo una proroga di 30 giorni.

Lo stesso giorno, la Corte Suprema ha emesso una sentenza provvisoria che prevede, a partire dal 1° aprile, il congelamento dei fondi pubblici destinati agli studenti delle scuole talmudiche che non si presentano per il servizio militare, ma senza dare un termine per le sanzioni contro coloro che si rifiutano di prestare servizio militare.

Intanto, la guerra estende i suoi confini. Da Gaza (32.845 morti e 75.392 feriti il bilancio delle vittime palestinesi) alla Siria. Nuovo attacco a Damasco. A essere colpito è stato un palazzo che “appartiene all’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran e aveva una bandiera”. Lo riporta su X la rete iraniana Snn, (Students News Network).

Secondo la rete televisiva al Arabya l’attacco – attribuito ad Israele e che avrebbe colpito il consolato e la residenza dell’ambasciatore – ha provocato almeno sei morti. L’ambasciatore iraniano sarebbe rimasto illeso.

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