Pace con la “deterrenza”, così Meloni ignora la lezione di Bibbia e storia: la parola è più tagliente della spada

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La signora Giorgia Meloni ha detto, parlando ai militari italiani dislocati con le altre forze armate internazionali al confine tra Israele e il Libano, che la pace non si costruisce con le (buone) parole, ma soprattutto con la deterrenza.

Per la verità non sembra che tale deterrenza funzioni troppo in Medio Oriente, altrimenti Israele sarebbe in pace e il popolo palestinese non sarebbe condannato a morte. Né la deterrenza, che per alcuni decenni ha preservato il mondo da una guerra nucleare, è più riconosciuta valida dagli Stati Uniti, che a partire dal 2002, dopo l’attentato alle due Torri di New York, l’hanno ufficialmente dichiarata obsoleta e sostituita con la guerra preventiva, affermando nei loro documenti sulla sicurezza nazionale che la migliore difesa è “una buona offesa”, e che non si può lasciare agli avversari la possibilità di sparare per primi.

In ogni caso ciò che con l’abituale leggerezza sostiene la Meloni, è l’impotenza della parola rispetto alla guerra. Al contrario proprio la parola è l’opposto della guerra, e solo sostituendo la parola alle armi, come si fa nel negoziato, si può porre termine a una guerra, in alternativa all’annientamento o al genocidio dell’uno o dell’altro nemico, o di tutti e due. C’è una potenza della parola, più di ogni altra cosa al mondo.

La Bibbia comincia così, che “Dio disse”, e vennero la luce, il firmamento, e si divisero le acque, e la terra produsse i suoi frutti. Spiegherà poi Pietro, il primo degli Apostoli, che “i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio”, e se oggi cieli e terra ancora sussistono è perché “sono conservati dalla medesima Parola”.

Quando poi “Dio disse”, e con questa sua parola fece l’uomo “a sua immagine e somiglianza” fu l’uomo da quel momento a dare il nome a tutte le cose, e fu lui che “disse”, e anche la donna fu. E la parola della donna fu egualmente creativa, e credibile per dare testimonianza, come fu per la donna del pozzo di Samaria.

Sono pertanto ambedue le parole, la parola di Dio e la parola dell’uomo, che hanno creato e dato forma alle cose; e anche a non distinguere più tra le due parole, come fa la secolarizzazione, ciò non toglie che si tratta di una parola potente.

Quella di Dio, dice la Lettera agli Ebrei, “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fi no al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”, essa opera “non con la potenza né con la forza”, ma con lo spirito, come dice il profeta Zaccaria; “non li salverò con l’arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri”, come dice il profeta Osea, ma con “la parola della croce” come dice san Paolo nella prima lettera ai Corinzi, che è la rivelazione definitiva di Dio, “stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio”.

Se questa è la parola nella nostra tradizione, essa è alternativa, non complice della guerra. Per questo è più che mai necessario salvare le parole, non abbandonarle alla mistificazione di cui oggi sono fatte oggetto dall’attuale pensiero unico; se si chiama “guerra” un genocidio, è diffamata persino la guerra; se si chiamano “democrazie” le Potenze che vogliono imporre i loro “valori” con la guerra, la democrazia è diffamata, se si identifica la “sicurezza” con il dominio, la sicurezza è finita, se gli uomini da uccidere sono chiamati “obiettivi”, l’umanità è perduta, se il non placare la vendetta su un popolo intero si definisce come “finire il lavoro”, la crudeltà è resa sovrana, se l’immigrazione è chiamata “sostituzione genetica”, l’unità del mondo è impedita, se uno Stato è teorizzato in esclusiva come una “nazione”, ogni altra vita è negata e nessuna Costituzione è possibile.

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