Può esistere una democrazia senza Stato di diritto? Il caso di Israele e la ferocia di Netanyahu

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In Israele esiste una stampa libera. Su questo piano Israele è un paese molto civile, assai più dell’Italia. Un esempio: tutti i giornali israeliani l’altro giorno portavano in prima pagina la notizia dell’uccisione da parte dell’esercito israeliano di sette operatori umanitari stranieri. Molti giornali italiani, filo israeliani, non avevano la notizia in prima pagina. I giornali italiani si erano indignati per le decisioni dell’Università di Pisa ma non per la strage. Non l’hanno considerata una notizia. In Israele la stampa è libera. In Italia ammaestrata. In Israele si svolgono regolarmente le elezioni. Alle date stabilite e senza brogli. Sono due elementi costitutivi della democrazia: stampa libera ed elezioni. Poi c’è un terzo pilastro della democrazia: lo stato di diritto. In Israele non esiste lo stato di diritto. O forse esiste, ma solo per una parte della popolazione. E lo Stato di diritto o è completo o non è stato di diritto. Lo stato di diritto riservato solo ad alcuni non è diritto ma privilegio.

Ieri il quotidiano israeliano Haaretz – appunto: esiste una stampa libera – pubblicava un articolo nel quale elencava una serie incredibile di sopraffazioni feroci e criminali compiute dall’esercito e forse dalla polizia israeliana. Da far venire i brividi. Da far impallidire persino il Cile di Pinochet e l’Argentina di Videla. Si parlava di retate a Gaza e poi di prigionieri trasferiti in campi di prigionia in Israele, incatenati mani e piedi tutto il giorno, 24 ore, immobilizzati, bendati, senza la possibilità di andare in bagno o di lavarsi, alimentati solo con alcuni liquidi ingeriti con le cannucce. Per settimane, mesi. Si riferiva di medici che hanno dovuto amputare mani e piedi a questi detenuti – quasi tutti civili – perché le catene avevano provocato cancrena. Si parlava di fosse comuni con seppelliti i cadaveri di prigionieri morti per le torture, e per i pestaggi, e per le bastonate. Si raccontava di testimoni che hanno assistito all’ “imbustamento” dei prigionieri, che venivano infilati in grandi sacchi di plastica neri, poi torturati e infine giustiziati.

Né dal punto di vista umano né dal punto di vista del diritto è facile trovare differenze tra le atrocità del 7 ottobre e queste atrocità. Con una sola differenza: nessuno ha mai sostenuto che a Gaza il regime di Hamas è un regime democratico.E, giustamente, chiunque provi a dire qualche parola di comprensione verso i crimini e la crudeltà di Hamas, viene seppellito di improperi. Ripeto: giustamente. E invece quasi tutti noi, anche i più critici, quando critichiamo Israele ci affrettiamo a precisare: “È l’unico paese autenticamente democratico in quell’area del mondo”.

Israele – oggi – è una democrazia? E se un regime democratico può essere considerato democratico anche se compie crimini atroci, se perseguita e massacra un popolo vicino, se tiene nella sue prigioni migliaia di detenuti “amministrativi”, in cosa consiste la superiorità della democrazia nei confronti della dittatura? Mentre veniamo a sapere che a un ragazzo palestinese stanno amputando le gambe per i maltrattamenti subiti dopo che – probabilmente in modo illegale – era stato posto in stato di detenzione, veniamo anche a sapere che uno dei leader di Israele ha chiesto elezioni anticipate a settembre: questo ci basta, ci fa mettere il cuore in pace? Ci autorizza a soprassedere per le amputazioni al ragazzo?

L’obiezione, l’unica obiezione ragionevole che ho sentito in questi giorni, è la seguente: “ma perché se denunciate questi “errori” del governo israeliano non vi indignate per le infamie commesse, ad esempio, dal regime iraniano, che l’anno scorso ha impiccato 500 persone, in buona parte giovani tossicodipendenti, o per le follie nordcoreane, o per la violenza del regime russo?”. La risposta è semplice: se non ci indigniamo facciamo malissimo: Hamas, Israele e Iran hanno un rispetto del diritto e dei principi essenziali dell’umanità pari a zero. Vanno condannati con la stessa determinazione. Così come vanno condannate la Cina, Cuba e le altre nazioni governate da regimi di sinistra.

In realtà queste condanne già in parte ci sono (sanzioni contro Cuba, contro la Russia, contro l’Iran, disprezzo e dileggio verso la Corea del Nord) ma sono francamente troppo blande. Poi c’è la seconda obiezione, spesso avanzata dal governo di Israele: “Perché l’Onu ha approvato centinaia e centinaia di risoluzioni che condannano Israele, e neanche una dozzina contro l’Iran?”. È ragionevole, questa obiezione, dal punto di vista formale. Nella sostanza è debole. Bisognerebbe chiedere ai governanti israeliani: ma quelle risoluzioni sono solo troppe – troppe rispetto alla disattenzione verso i crimini iraniani – o sono ingiuste? La verità è che non sono ingiuste. E che Israele, per come si è comportata nei territori occupati, per le migliaia di carcerazioni illegali, e ora per le infamie che sta compiendo a Gaza, merita certamente di essere processata per crimini di guerra in un tribunale internazionale.

Ho scritto tutte queste righe per lasciare lì una domanda molto semplice: ma se questa è democrazia, vale la pena difendere la democrazia? Con questa domanda non voglio affacciare l’ipotesi che non valga la pena. Piuttosto l’ipotesi che se continuiamo a dire che – oggi – Israele è una democrazia, sviliamo e sbeffeggiano il senso di questa parola. La riduciamo a un sofisma, a una formalità, a un modo di dire. Se ci accontentiamo di una convocazione elettorale, riduciamo la democrazia a una cosa molto lontana dalla sua anima. Un signore moderato, liberale e saggio come Mario Draghi si lasciò sfuggire qualche anno fa una sacrosanta affermazione: “Erdogan è un dittatore”. Aveva ragione, credo. Eppure ancora in questi giorni abbiamo visto che in Turchia si vota e si vota regolarmente. E allora? E allora mettiamo via le ipocrisie: oggi Israele è un regime oppressivo, feroce, che usa il terrorismo di stato, che commette crimini di stato insopportabili. Che non ha niente a che spartire coi valori occidentali di diritto e libertà. E tutto questo non riguarda il suo popolo – che scende in piazza e protesta – ma un regime oligarchico e satrapesco.

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