Vibo, il pentito Megna: «”Scarpuni” voleva compiere un omicidio in ospedale»

Vibo, il pentito Megna: «”Scarpuni” voleva compiere un omicidio in ospedale»

Il Quotidiano del Sud
Vibo, il pentito Megna: «”Scarpuni” voleva compiere un omicidio in ospedale»

Il pentito Pasquale Megna ha dichiarato che “Scarpuni” avrebbe avuto intenzioni di commettere o far commettere un omicidio in ospedale

VIBO VALENTIA – Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, avrebbe avuto intenzione di commettere, o far commettere, un omicidio in ospedale e per far ciò aveva chiesto che gli fosse fornito un silenziatore. La circostanza emerge in uno dei numerosi verbali del collaboratore di giustizia, Pasquale Megna, segnatamente quello rilasciato l’1 aprile del 2023, acquisito agli atti del maxiprocesso “Maestrale”. È nel corso del processo che si parla di tale frangente all’interno di una narrazione più ampia che comprende l’esistenza di una lista di nomi di persone tra le quali figurava quello di Toniuccio Ranieli, che gestiva il Cliffs Hotel di Joppolo. La nota struttura turistica, a parere degli investigatori della Dda di Catanzaro, era interamente sotto l’influenza dei Mancuso, in particolare proprio della famiglia Megna.

LA LISTA DEI DEBITORI

I debiti di Ranieli sarebbero stati molti, secondo Megna, ed erano indicati in una lista che era stata sequestrata dalla Polizia durante un blitz in una delle proprietà di suo zio “Scarpuni”. Unitamente alla pistola, ma del silenziatore nessuna traccia. Lista che “aveva Luni fin quando era rimasto libero, non per chissà quale motivo. Ma per vedere come andare a recuperare i soldi dovuti da Tonuccio e metterseli in tasca lui”. Un elenco che comprendeva come detto, nomi e relative somme di denaro. Con accanto l’indicazione di quanto dovuto a titolo di interessi, ed altre somme senza quel riferimento.

E pochi erano i dubbi di Megna che si trattasse di soldi di origine usuraria: “Erano i debiti dello strozzo, riguardo ai prestiti ricevuti da Tonuccio ad usura. Altre somme erano relative al pagamento dei fornitori. Di questa lista ho memoria perché so che è stata trovata dalla Polizia di Stato durante una perquisizione, fatta nei confronti di Luni Scarpuni. Che però in quel periodo era detenuto e pertanto alle attività ero presente io, perché c’era mia zia Antonietta Buccafusca da sola. Fu lei a firmare il verbale”.

Il collaboratore aggiunge di essere stato già a conoscenza di quella lista – nella quale sarebbero state indicate anche del cifre del villaggio “Sayonara” a Nicotera. Tra cui la somma dovuta da “Toniuccio a mio padre, se non erro 100mila euro, senza altre indicazioni. Ed era dovuta per la precedente fornitura del pesce” – e inoltre che girava da tanto tempo: “Gliel’ho vista a mio padre, a mio zio Turi. Dopo l’arresto di “Scarpuni” l’aveva Luigi Mancuso nel senso che se l’è vista lui per il recupero della somma. Perché era l’unico “dei grandi” ad essere a piede libero”. E anche Salvatore Ascone, alias “U Pinnularu” l’avrebbe avuta, così come “Francesco Congiusti del bar: tutte le persone che avevano crediti verso Toniuccio”.

IL PROGETTO DI “SCARPUNI” DI OMICIDIO IN OSPEDALE SECONDO QUANTO DICHIARATO DA MEGNA

Megna racconta di conoscere le caratteristiche dell’arma sequestrata dalla polizia in quanto non era la prima volta che la vedeva. E ne spiega il motivo parlando appunto di quello che sarebbe potuto essere il suo utilizzo: “L’avevo vista qualche tempo prima da mio zio Turi prima che la consegnasse a “Scarpuni”. Quando l’ho vista, aveva anche il silenziatore, che in sede in di perquisizione non fu trovato. So che quella pistola serviva per commettere un omicidio in ospedale. Perché prima di trovare quell’arma, sia mio zio Turi che Luni “l’ingegnere” (l’altro Pantaleone Mancuso, ndr) mi avevano chiesto di procurarne una col silenziatore in quanto serviva a Luni “Scarpuni”. Perché, per come riferitomi sempre da mio zio, bisognava uccidere una persona dentro l’ospedale, ma non mi fu detto chi”.

Nel suo racconto, almeno in questa parte del verbale non fa riferimento al periodo. Ma incrociando qualche dato e qualche circostanza potrebbe trattarsi del 2012, in cui imperversava la guerra tra Piscopisani e clan Patania. In quel periodo era ancora libero tanto che i primi con l’aiuto di Antonio Campisi e Salvatore Cuturello – secondo quanto riferiscono i pentiti – avrebbero progettato di uccidere il capo dell’ala armata del clan di Limbadi. In particolare sulla detenzione di Pantalone Mancuso. Sarebbe stato arrestato nell’autunno del 2013 nell’ambito dell’operazione “Gringia-dietro le quinte”. Sempre con riferimento alla faida in quanto ritenuto il mandante occulto degli omicidi del clan di Piscopio.

Il 21 marzo dell’anno precedente, in uno stabile di via Arenile, a Vibo Marina, vi fu l’uccisione di Francesco Scrugli – Braccio destro di Andrea Mantella – e il contestuale ferimento dei piscopisani Raffaele Moscato e Sarino Battaglia i quali vennero trasferiti in gravi condizioni in ospedale. Non si può, dunque, escludere che forse l’obiettivo del quale parla Megna, tirando in ballo “Scarpuni”, fossero proprio loro. Vero è che il pentito parla al singolare ma è altrettanto vero che potrebbe trattarsi di una affermazione generica quella che gli era stata fornita.

I SOLDI NEL BOX DEL BIMBO

Come detto la perquisizione avvenne in una casa sita di fronte a quella di Tita Buccafusca, moglie di “Scarpuni”. Che si suicidò ingerendo l’acido dopo aver interrotto dopo una notte il percorso di collaborazione con la giustizia: “Le chiavi di quell’abitazione erano appese allo stesso mazzo di chiavi della casa di mia zia Tita. Dentro venne trovata la lista ed una pistola”. Megna aggiunge di essere entrato in quella casa qualche tempo prima. Comunque un paio di giorni circa dopo l’arresto di Mancuso, ma di non aver visto né la lista né l’arma ma solo 50.000 euro.

“Ci sono entrato perché mio zio “Scarpuni” quando era stata arrestato aveva detto a mia zia Antonella all’orecchio: “Guarda nella casa vecchia e nel passeggino del bambino”, che poi in realtà non nel passeggino il posto dove bisognava guardare, ma nel box del piccolo dove c’erano nascosti altri 7-8.000 euro”. E fu quindi lo stesso pentito a recuperare i soldi e a consegnarli alla congiunta, evitando così che la polizia li sequestrasse. Solo la lista e la pistola calibro 7,65, mod 34 o 35 Beretta con la filettatura nella canna per il silenziatore.

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